MIME-Version: 1.0 Content-Location: file:///C:/486246E5/sedevacante.htm Content-Transfer-Encoding: quoted-printable Content-Type: text/html; charset="us-ascii" Il lascito del Papa

Un promemoria

per una nuova stagione

 

Pierluigi Natalia

 

ROMA, aprile 2005.

Sede vacante. Queste pagine sono scritte nel tempo tra la morte di Giovanni Paolo II e l'elezione del s= uo successore.  È vuota &#= 8212; vacante appunto — la cattedra di Pietro. Ma non lo è la Chiesa. Lo Spir= ito che i Cardinali invocheranno riunendosi in Conclave non cessa mai di operare. Né cessa l'intercessione materna dell'Immacolata. Non c'è nel= la Chiesa,   nella sua esperienza storica e nel suo più genuino sentire,  un tempo «sospeso». I = riti stessi  insegnano  che non possiamo lasciare i nostri= occhi troppo a lungo velati di lacrime, che lo sguardo deve farsi presto limpido e fermo per scrutare il futuro.

L'omaggio a  Giovanni Paolo II non pu&og= rave;, non deve vestirsi di  mero rimpianto. Gli stessi riti dei Novendiali (i nove giorni di celebrazioni di suffragio che seguono al funerale del Papa) si protraggono appunto cos&igra= ve; a lungo - giova ricordarlo -  non per celebrare il Pontef= ice scomparso, ma per invocare su di lui la misericordia di Dio, della quale più ha bisogno chi più ha avuto talenti affidati. =

Non è, la Sede vacante, il tempo dell'esaltazione,  anche se frutto dei sentimenti più nobili e sinceri,   ma della  riflessione e della memoria nel se= nso più autentico. Per la Chiesa e per l'umanità tutta. Il resto, tutto il r= esto minaccia di  confondere il cuore e la coscienza, persino di far debordare il lutto e l'emozione non nella giusta venerazione, ma appunto in un'esaltazione che può mutar= si, anche inconsapevolmente,  in idolatria.

 

Un magistero

per molti versi inascoltato

 

E sarebbe, oltretutto, un cattivo servizio a un Papa che ha segnato la storia. Sarebbe una sconfitta — forse la più irridente — per un pontificato lungo e fecondo, ma che pure già tanto ha avuto inascoltato il suo magistero, soprattutto nell'ultimo quindicennio, quello seguito ai fatti epocali del 1= 989 e del 1990 nell'Est dell'Europa e nell'Unione Sovietica. In quei giorni, do= po decenni di totalitarismo ideologico, di violenze, di persecuzioni del disse= nso, di morti conosciuti e sconosciuti, la storia veniva  sconvolta da  un'esigenza di libertà che = in Giovanni Paolo II trovò  — a giudizio pressoché unanime degli storici —  la sua voce più alta e un contributo decisivo. Anche grazie all'opera  del Papa polacco che aveva vissuto l'orrore del nazifascismo e la condizione penosa dell'oppressione totalitaria comunista, quella svolta epocale ebbe il segno e il merito  di essere quasi del tutto incruent= a. E in  quegli stessi anni,  a quella rivoluz= ione pacifica in Europa e in gran parte dell'Asia faceva riscontro in America La= tina la caduta di regimi dittatoriali di segno opposto e di uguale ferocia,  in un parallelo processo storico d= el quale invece non si è  = forse indagato,  studiato e compreso= a sufficienza il contributo della Chiesa e del magistero di Giovanni Paolo II. 

Purtroppo, quindici anni do= po, appaiono in misura rilevante deluse le   speranze suscitate  da quegli avvenimenti. La fine di = un sistema bipolare fondato sul contrasto ideologico ha certo allontanato R= 12; ed è il suo merito maggiore — l'incubo della distruzione nucle= are che per quasi  mezzo secolo aveva gravato sull'umanità intera. E non è un caso se proprio al dissolversi di quell’incubo abbia fatto cenno il Papa nel = suo testamento. Tuttavia, agli avvenimenti di quei giorni cruciali non ha fatto seguito l'auspicato avvio   di una stagione di di= alogo e di collaborazione autentici, ma il ricorso  massiccio, se pure non si vuol dire disinvolto, all'uso della guerra. Già alla fine del 1990, la voce del Papa tornava a levarsi — inascoltata — per<= span style=3D'mso-spacerun:yes'>  ripetere alle coscienze, al= ta e accorata, la denuncia di Benedetto XV: «La guerra è avventura senza ritorno» e pochi giorni dopo, il 17 gennaio 1991, l'inizio dell= a guerra nel Golfo spingeva  il Papa &#= 8212; del quale erano rimasti inascoltati gli appelli rivolti ancora due giorni p= rima ai Presidenti degli Stati Uniti,  George Bush, e  dell'Ir= aq, Saddam Hussein — a «profonda tristezza e grande sconforto» perché «l'inizio di questa guerra  segna una grave sconfitta del diri= tto internazionale e della comunità internazionale».

Né certo quella &egr= ave; stata l'unica sconfitta in questo quindicennio.  L'Iraq è ancora oggi zona di guerra, qualunque sia il nome che voglia darsi a chi la conduce e a chi vi è coinvolto. In tutto il Medio Oriente è proseguita pressoché senza interruzioni la   spirale cruenta degli attentati e delle ritorsioni. L'Africa versa da mille e mille ferite il san= gue dei suoi figli stremati da conflitti che proprio in questo quindicennio si = sono  fatti più  feroci e incancren= iti. In Asia, sterminate popolazioni restano esposte alla   devastante minaccia n= on solo e non tanto delle catastrofi naturali, quanto della miseria che le ren= de immense. In America Latina, un'uguale miseria è il prezzo pagato  all'omo= logazione a modelli di presunto sviluppo, il costo&n= bsp; imposto da una  forzata=   moltiplicazione dei  bisogni indotti per moltiplicare i consumi e da una finanza internazionale sempre più scollegata dall'economia reale. Nello stesso Nord ricco del mondo,=    le democrazie  — quelle consolidate e quell= e nate proprio dagli avvenimenti epocali del 1989=   — da quindici anni  subiscono e non governano  i processi della cosiddetta globalizzazione e sempre più spesso confid= ano nella forza,  economica o mili= tare che sia, e non sui valori di cui pure restano i principali alfieri.

Forse è questo che occorre richiamare alla mente nella riflessione e nella preghiera di questi giorni. Certo è questo il pensiero che accompagnava chi scrive nella=   giornat= a dell'8 aprile scorso, quella dei funerali di Giovanni Paolo II, una giornata che si è iscritta tra i grandi avvenimenti della storia contemporanea,  sia per sua straordinaria rilevanza mediatica, sia soprattutto  per l'immane partecipazione di popolo. E già    nei giorni immediatamente precedenti,  l'Assemblea generale delle Nazioni Unite aveva reso   un  tributo al Papa, aprendo i suoi la= vori con un minuto di silenzio e con discorsi commemorativi affidati a rappresentanti di tutti i continenti. Il Papa defunto, che nel novembre del 1995 dalla tribuna dell’Onu invitò tale organizzazione a farsi «Famiglia di Nazioni» prima che associazione di Stati,  è= ; stato definito «un'eccezionale forza di ispirazione per tutta l'umanità» nella commemorazione fatta dal presidente di turno dell'Assemblea, il gabonese Jean Ping, che ha ricordato in Giovanni Paolo II «un instancabile promotore di pace e di fraternità nel mondo», sottolineandone in particolare «il coraggio e l'umiltà» nello sforzo di portare  «giustizia e dialogo».=

 

Il desiderio di procedure <= o:p>

capaci di bandire la guerra=

 

Ma questo non  circoscriversi nel solo oma= ggio, mentre al Palazzo di Vetro prende il via&n= bsp; il  cammino della diffi= cile riforma  delle Nazioni Unite  con  l’apertura del dibattito tra i 191 membri sulle proposte per  cambiare il volto dell’organ= izzazione, in vista del vertice di  sette= mbre per il 60° anniversario. E sono proprio le esortazioni al  cambiamento rivolte anni di= eci fa all’Onu da Giovanni Paolo II,  ricordate nella stessa Aula, a segnare l’avvio di un dialogo  planetario che si preannuncia complesso.     «C’erano molte riforme che Giovanni Paolo II sentiva com= e  desider= abili per rendere gli organismi dell’Onu più efficienti,  in modo che servissero meglio le società, le economie e le  culture del mondo», ha detto all’Assemblea generale l'Arcivescovo  Celestino Migli= ore, Osservatore Permanente della Santa Sede, prendendo a sua volta la  parola e sottolineato un aspetto particolare sul quale il Papa ha insistito particolarmente e sul quale l’Onu si confronta sul cammino delle riforme: l’uso della forza. «Il Papa desiderava intensamente    ha detto l’Arcivescovo Migli= ore — che l’Onu sviluppasse procedure efficaci diverse dalla guerra= per risolvere i conflitti internazionali» e poneva sempre «il ruolo della legge al di sopra del ruolo della forza».

   Il tema dell’uso della= forza da parte dell’Onu è centrale nel progetto di riforma del Segretario generale Kofi Annan, che rappresenta la base per la discussione avviata all'Onu.  I vari Paesi= che si sono succeduti al podio hanno espresso spesso il loro favore per la prop= osta di Kofi Annan di stabilire con una risoluzione specifica del Consiglio di sicurezza i limiti nel ricorso alla forza per risolvere tensioni internazionali.

   Ma i nodi da sciogliere per cercare possibili accordi sulla riforma dell’Onu vanno oltre il tema degli interventi militari.  &nbs= p; Molti Paesi del Sud del mondo  e  cosiddetto «G-77», il = gruppo delle Nazioni meno ricche,  ha= nno incominciato a porre con forza in Assemblea l'insoddisfazione per l'insufficienza delle proposte presentate,=   chiedendo di più sul piano dell’aiuto allo sviluppo e un più chiaro legame tra sicurezza e sviluppo.

   La comunità diplomati= ca sta anche valutando il peso della presa di posizione della Cina e degli Stati Uniti,  membri permanente con diritto di veto in Consiglio di sicurezza, che hanno detto di  voler perseguire il consen= so sulla riforma, ma hanno chiaramente specificato di  non vedere di buon occhio alcuna scadenza a un lavoro di questo genere. La posizione dei due Paesi contrasta= con quella di Kofi Annan, che ha  esortato a muoversi sulla r= iforma anche in assenza del consenso tra gli Stati e a prendere decisioni entro il 2005, possibilmente in occasione del vertice dei Capi di Stato e di Governo= che a settembre arriveranno a New York per l’apertura della 60ª sess= ione dell’Assemblea generale.

 

Il pericolo di deludere

la speranza dei popoli

 

La speranza vera dei popoli è che il funerale di Giovanni Paolo II  si segni come un promemoria= per il mondo. Giovanni Paolo II ha voluto incontrare tutti i popoli della Terra= , ha aperto le braccia nel gesto della fratellanza a tutte le religioni, ha teso= la mano a tutte le povertà di ogni donna, di ogni uomo, di ogni vecchio= e di ogni bambino. Il mondo lo sa, nelle capanne del villaggio meno conosciut= o, come nei palazzi delle città più cariche di storia, nelle case confortevoli dei più fortunati, come nelle sterminate baraccopoli  di tutt= i i Sud del mondo.

Il mondo lo sa e si è prima fermato, grato e grave, ad accompagnare il suo Pontificato nell'ora più difficile e più dolente —   ma insieme pervasa da= lla serenità di una fede invincibile, di una carità inesausta, di= una speranza  che si fa certezza nell'andare all'incontro con il Signore — e poi si è commosso = nel ricordo e  nell'omaggio corale= , universale e senza distinguo, come quello che gli ha tributato con lo straordinario pellegrinaggio a Roma. Il mondo, con tutte le sue  religioni, non  ha dimenticato. Dai quattro angoli=    d= ella Terra, dall’Estremo oriente alle Americhe, dall’Africa   all’Europa, dall'Ocean= ia alla  Terra Santa, miliardi di persone   hanno pregato p= er il Papa prima nell'ora dell'agonia, poi in quella della morte. Al Servo dei se= rvi di Dio si sono volti i pensieri e  le preghiere di chi di ques= to servizio ha reso e rende grazie.

   Un   abbraccio spontaneo  ha unito cattolici, ortodossi e   protestanti, musulmani ed eb= rei, religiosi e anche quanti hanno la sola fede nell'uomo.      Non hanno<= span class=3DGramE>  dimenti= cato i suoi gesti ecumenici molti   musulmani. Non hanno dimenticato la sua ferma condanna   dell’antisemiti= smo e la definizione di «fratelli maggiori dei   cristiani» gli ebrei. = Hanno  pregato= e pregano   per lui quanti = in questi anni ne hanno seguito i passi lungo lo splendido, irrinunciabile «Spirito di Assisi», in quell'«essere insieme per pregare» che ha fatto della città di Francesco e di Chiara e di tutti luoghi del francescanesimo  fari interrreligioso della pace.

Si è pregato  nelle   grandi cattedrali europee e<= span style=3D'mso-spacerun:yes'>   intorno agli altari di legno= di tante missioni africane, così come&= nbsp; nelle case della sofferenza in India.  Si è pregato  in Paesi dal cattolicesimo fervente,    dalla Slovacchia al Brasile, dagli Stati Uniti alla Croazia, dalle Filippine alla Lituania, dove  masse imponent= i di fedeli si sono raccolte nelle chiese e sui sagrati delle cattedrali. E si è pregato nel  Patriarcato ortodosso di Mosca.

Dalle Filippine, durante l'agonia di Giovanni Paolo II è giunta una delle testimonianze più significative dell'amore che al  Papa sofferente ha voluto restituire quel mondo della sofferenza che lui tanto aveva soccorso:  i carcerati del penitenziario   nazionale di  Manila, hanno digiunato e celebrat= o la   Via Crucis= per esprimere nella preghiera la loro vicinanza al Santo   Padre. Così come in preghiera si sono messi i carcerati di «Regina C= oeli» e Roma, memori di quando il Papa rivolse nell'aula del Parlamento italiano = un appello di clemenza che venne molto applaudito,  ma  mai accolto da chi oggi governa l'Italia.

Preghiere per  il Papa si sono levate nei<= span style=3D'mso-spacerun:yes'>   grandi santuari del culto di Maria, da lui più volte visitati,   da Lourdes a Fatima fino alla «sua»  Czestochowa, nel Sud della   Polonia, dove sorge il monas= tero di Jasna Gora nel quale si venera la   celebre icona della «M= adonna Nera» e presso la quale ad ogni   viaggio nel Paese natio il Papa  si fermava in preghiera.=      

E alla preghiera si è affiancato il rispetto del mondo.  L'Onu ha reso il suo omaggio. L'Unione Europea, che in questi anni ha visto via via compiersi la riunificazione tra q= uei «due polmoni» con i quali decenni fa la visione profetica di Giovanni Paolo II l'aveva invitata a respirare, ha espresso, prima ancora d= el cordoglio, la riconoscenza per l'azione di uno dei suoi figli più grandi, del fratello capace di farsi padre, del traghettatore nella speranza del terzo millennio.

Il Sud devastato e dolente = del mondo ha pianto e piange il difensore di tutti i suoi diritti violati, il sostegno di ogni dignità, l'avvocato indefesso della causa dell'uomo. L'Africa  = ha appreso con tristezza e commozione la notizia della morte   di Giovanni Paolo II, un Pap= a che ha amato  il continente, ricor= dando il suo impegno per la   d= ignità umana e la crescente influenza del suo insegnamento.  Dalla Guinea Equatoriale, il Paese=   la pi&u= grave; alta percentuale di cattolici, alla Nigeria, quello dove sono maggiori in c= ifra assoluta, la memoria e l'omaggio di tutti sono andati al tempo stesso al pa= dre e al difensore dei diritti dell'uomo.

Le notizie sul Papa hanno occupato  = le prime pagine di quasi tutta la stampa, non solo nei   Paesi a maggioranza cattolic= a o cristiana; hanno stravolto la   programmazione di tutte le televisioni, comprese quelle arabe,  con lunghe   dirette o aggiornamenti cont= inui. Anche la  = stampa cinese ha seguito   le vi= cende nel cuore della Chiesa   cattolica con  un rilie= vo mai concesso prima. E è venuto un gesto senza precedenti: il Governo di Pechino,  = che non ha relazioni   diplom= atiche con la Santa Sede,  alle prime notizie dell'aggravamen= to del Pontefice,  ha espresso un aug= urio che potesse rimettersi,  il pr= imo del genere nella storia dei  difficili rapporti fra le due più antiche diplomazie del mondo.   

   In Terra Santa, in Israele c= ome nei Territori palestinesi,  per qualche giorno  sono stati   cancellati i problemi del Go= verno di Sharon e dell'Autorità palestinese,  e dalle città sante   di Gerusalemme e Betlemme  arabi, ebrei e cristiani hanno fis= sato idealmente  gli   occhi sul Vaticano.

 

Le minacce alla pace

non consentono incurie

 

Ma tutto questo potrebbe es= sere vanificato presto e presto disperso, senza che appunto non venga segnato co= me un promemoria per il mondo. Per tutti. E soprattutto per i «grandi de= lla terra». Né il panorama mondiale consente incurie in questo sen= so.

La libertà e la pace= non possono essere disgiunte, pena il tracollo dell'umanità in una ancora più ineluttabile spirale di distruzi= one. Ma la  libertà è solo licenza accordata ai più forti  se ad orientarla non è la b= ussola dei diritti. Con = «Dichiarazione universale  dei diritti dell'uomo» ci fu nel 1948 una scelta radicale: si abbandonava l'idea = che al centro della vita sociale dovessero esserci valori collettivi e imperson= ali, quali nazione, sangue, razza, etnia, classe, per  improntare la convivenza mondiale = al valore supremo e inviolabile della persona. Quasi sessant'anni  dopo &#= 8212; nonostante il crollo di non pochi regimi dittatoriali — l'antica mentalità sembra risorgere e  propagarsi con devastanti conseguenze.

La democrazia partecipativa= e rappresentativa è certo il sistema che più tutela i valori e i diritti inalienabili dell'uomo, ma   è un processo = sempre incompiuto. Oggi, soprattutto, ad ostacolarlo  e a minacciarlo di regresso= non c'è solo la ricorrente tentazione egemonica, ma la pur comprensibile urgenza  di risultati nella lo= tta al  terrorismo.  Ma  una  democrazia,  ogni democrazia,  finisce per negare la sua stessa n= atura se  affida la risposta alle sf= ide del terrorismo  solo  o anche prioritariamente alla forz= a, se  non fa prevalere nei fatti= e nelle scelte interne ed internazionali la testimonianza coerente del rispet= to e della tutela dei valori dell'uomo, pur nella legittima e doverosa vigilanza sulla propria sicurezza.

Anche nelle situazioni più drammatiche, il prolungamento dell'emergenza in nome della stabilità e dell'efficienza — e persino dell'autodifesa — può risultare assai pericoloso. La comunità internazionale, n= el suo complesso e attraverso i suoi legittimi organismi, può temporaneamente sottrarre l'amministrazione di alcune regioni  alla diretta competenza dei= loro abitanti e delle istituzioni locali, se queste si mostrano palesemente  incapaci di tutelare la pace e la = vita delle popolazioni. Ma   tali emergenze non po= ssono essere protratte indefinitamente, pena il venir meno dell'essenza stessa de= lla democrazia che si intende instaurare o restaurare, cioè il primato d= ella persona umana come depositaria di diritti da riconoscere e non da concedere= .

A rendere complessa la convivenza in una società non monolitica,  ma formata da una serie di aggregazioni a livelli diversi, contribuisce indubbiamente la presenza nello stesso territorio di culture, religioni, etnie differenti. Gli anni della contrapposizione ideologica tra Est ed Ovest non hanno trovato risposte dav= vero  efficac= i ai problemi di tale convivenza, né soluzioni accettabili  sembrano poter  fornire i modelli  elaborati finora. Ciò &egra= ve; valido — fatte salve le evidenti differenze di merito — sia  per  il «mel= ting pot», il miscuglio razziale e culturale che caratterizza la società statunitense  e= che spesso si esprime per comunità parallele ed aut= oreferenti, sia a maggior ragione per l'annullamento forzato  delle espressioni minoritarie nella cultura  dominante, come sempre accaduto nelle diverse forme di totalitarismo.

Anche il  tramonto per tanti versi cu= po del XX secolo e quest'alba del Millennio che non sa farsi ancora luminosa dimostrano  come l'incontro co= n il diverso da sé incuta paura e resti fonte di conflitti. Tuttavia, le uniche strade percorribili per giungere a un'integrazione e a  una convivenza pacifiche  rimangono la tolleranza e il rispetto  fondati sul riconosc= imento delle diverse culture, sia come portatrici di valori sia come realtà storiche in continua evoluzione.

 

La causa dell’uomo

è la causa della Chiesa

 

La causa della pace richiede nuovi strumenti culturali — e soprattutto interculturali —  e il pa= rallelo rifiuto di stereotipi e di ideologie obsolete come mezzi interpretativi deg= li avvenimenti. Per questo, per una prospettiva di un futuro di democrazia mat= ura, occorrono percorsi formativi orientati a  promuovere una vita di rela= zione rispettosa dell'altro e capace di valorizzare le diversità di genere= , di età, di razza, di etnia, di cultura e persino di religione. 

La democrazia si costruisce= infatti a partire da una molteplicità di sogge= tti. Nei cosiddetti «mondi vitali», come ad esempio famiglia, comunità religiosa,  associazioni, organizzazion= i di volontariato, prendono forma sociale le sensibilità individuali. Sono tali realtà, dunque, a dover  individuare quei percorsi formativi. Alle istituzioni politiche, espressione della società civ= ile, si chiede in parallelo=   la capacità di evolversi e di adeguarsi ai rapidi cambiamenti  economici e cultu= rali. Solo così tali istituzioni potranno assicurare regole comuni di convivenza per estendere all'intera collettività uguali opportunità nei confronti della qualità della vita.

In questi giorni che per la Chiesa sono di  Sede va= cante, accanto agli umili si sono posti in preghiera — o almeno hanno mostra= to di farlo — i «grandi della Terra», i responsabili della c= osa pubblica che tante volte Giovanni Paolo II ha voluto incontrare nella sua azione al servizio dell'uomo, fatta di dialogo e di ascolto. La Chiesa non rinuncer= à al dialogo con il mondo, sceglierà sempre la fatica del confronto. Perché la causa di Dio è la causa dell’uomo. E forse, in queste ore, è proprio ai potenti che va rivolto l'invito alla conversione del cuore, ad entrare in sintonia con lo spirito dei loro popol= i, per non vanificare, per non tradire, la memoria e la lezione di un pontific= ato che ha segnato la storia e che continua ad interpellare il futuro.

Proprio ai «grandi de= lla Terra», presenti ai funerali del Papa  in una misura mai vista pri= ma in alcuna assise mondiale,  Giova= nni Paolo II non chiede omaggio — in quell'ora e per il futuro —, chiede memoria. Non chiede il tributo di lacrime, chiede l'impegno a rispet= tare e ad accogliere la grande lezione sull'unica politica degna, quella dei costruttori di pace, quella del rispetto dell'uomo, di ogni uomo.  

La Messa esequiale = del  Papa ch= e ha condotto la Chiesa ed il mondo oltre la soglia del Terzo Millennio non è stata dunque un congedo, è stata un promemoria e un sostegno per quanti sollecita an= cora a varcare la soglia della speranza, per i giovani, soprattutto, chiamati a realizzarla in questi anni che del Millennio sono l'infanzia.

Ad essi sono chiamati a rispondere quei «grandi della terra» che miliardi di persone ha= nno visto raccolti sul sagrato di San Pietro accanto alla bara di cipresso di  Giovann= i Paolo II. Saranno essi a ricordare — e a chiedere conto — delle parol= e spese nei giorni di questo straordinario aprile.