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Un promemoria
per una nuova stagione
Pierluigi Natalia
ROMA, aprile 2005.
Sede vacante. Queste pagine
sono scritte nel tempo tra la morte di Giovanni Paolo II e l'elezione del s=
uo
successore. È vuota =
8212;
vacante appunto — la cattedra di Pietro. Ma non lo è
L'omaggio a Giovanni Paolo II non pu&og=
rave;,
non deve vestirsi di mero
rimpianto. Gli stessi riti dei Novendiali (i nove giorni di celebrazioni di
suffragio che seguono al funerale del Papa) si protraggono appunto cos&igra=
ve;
a lungo - giova ricordarlo - non per celebrare il Pontef=
ice
scomparso, ma per invocare su di lui la misericordia di Dio, della quale
più ha bisogno chi più ha avuto talenti affidati.
Non è, ma della riflessione e della memoria nel se=
nso
più autentico. Per
Un magistero
per molti versi inascoltato
E sarebbe, oltretutto, un
cattivo servizio a un Papa che ha segnato la storia. Sarebbe una sconfitta
— forse la più irridente — per un pontificato lungo e
fecondo, ma che pure già tanto ha avuto inascoltato il suo magistero,
soprattutto nell'ultimo quindicennio, quello seguito ai fatti epocali del 1=
989
e del 1990 nell'Est dell'Europa e nell'Unione Sovietica. In quei giorni, do=
po
decenni di totalitarismo ideologico, di violenze, di persecuzioni del disse=
nso,
di morti conosciuti e sconosciuti, la storia veniva sconvolta da un'esigenza di libertà che =
in
Giovanni Paolo II trovò
— a giudizio pressoché unanime degli storici —
Purtroppo, quindici anni do=
po,
appaiono in misura rilevante deluse le speranze suscitate
Né certo quella &egr=
ave;
stata l'unica sconfitta in questo quindicennio. L'Iraq è ancora oggi zona di
guerra, qualunque sia il nome che voglia darsi a chi la conduce e a chi vi
è coinvolto. In tutto il Medio Oriente è proseguita
pressoché senza interruzioni la spirale cruenta degli
attentati e delle ritorsioni. L'Africa versa da mille e mille ferite il san=
gue
dei suoi figli stremati da conflitti che proprio in questo quindicennio si =
sono fatti
più feroci e incancren=
iti.
In Asia, sterminate popolazioni restano esposte allai
processi della cosiddetta globalizzazione e sempre più spesso confid=
ano
nella forza, economica o mili=
tare
che sia, e non sui valori di cui pure restano i principali alfieri.
Forse è questo che
occorre richiamare alla mente nella riflessione e nella preghiera di questi
giorni. Certo è questo il pensiero che accompagnava chi scrive nella=
giornat=
a dell'8
aprile scorso, quella dei funerali di Giovanni Paolo II, una giornata che si
è iscritta tra i grandi avvenimenti della storia contemporanea, sia per sua straordinaria rilevanza
mediatica, sia soprattutto per
l'immane partecipazione di popolo. E già nei giorni
immediatamente precedenti,
l'Assemblea generale delle Nazioni Unite aveva reso un tributo al Papa, aprendo i suoi la=
vori
con un minuto di silenzio e con discorsi commemorativi affidati a
rappresentanti di tutti i continenti. Il Papa defunto, che nel novembre del
1995 dalla tribuna dell’Onu invitò tale organizzazione a farsi
«Famiglia di Nazioni» prima che associazione di Stati, è=
; stato
definito «un'eccezionale forza di ispirazione per tutta
l'umanità» nella commemorazione fatta dal presidente di turno
dell'Assemblea, il gabonese Jean Ping, che ha
ricordato in Giovanni Paolo II «un instancabile promotore di pace e di
fraternità nel mondo», sottolineandone in particolare «il
coraggio e l'umiltà» nello sforzo di portare «giustizia e dialogo».=
Il desiderio di procedure <= o:p>
capaci di bandire la guerra
Ma questo non circoscriversi nel solo oma=
ggio,
mentre al Palazzo di Vetro prende il via&n=
bsp;
il cammino della diffi=
cile
riforma delle Nazioni Unite con
l’apertura del dibattito tra i 191 membri sulle proposte per cambiare il volto dell’organ=
izzazione,
in vista del vertice di sette=
mbre
per il 60° anniversario. E sono proprio le esortazioni al cambiamento rivolte anni di=
eci fa
all’Onu da Giovanni Paolo II,
ricordate nella stessa Aula, a segnare l’avvio di un dialogo planetario che si preannuncia
complesso.
«C’erano molte riforme che Giovanni Paolo II sentiva com=
e desider=
abili
per rendere gli organismi dell’Onu più efficienti, in modo che servissero meglio le
società, le economie e le
culture del mondo», ha detto all’Assemblea generale
l'Arcivescovo Celestino Migli=
ore,
Osservatore Permanente della Santa Sede, prendendo a sua volta la parola e sottolineato un aspetto
particolare sul quale il Papa ha insistito particolarmente e sul quale
l’Onu si confronta sul cammino delle riforme: l’uso della forza.
«Il Papa desiderava intensamente — ha detto l’Arcivescovo Migli=
ore
— che l’Onu sviluppasse procedure efficaci diverse dalla guerra=
per
risolvere i conflitti internazionali» e poneva sempre «il ruolo
della legge al di sopra del ruolo della forza».
Il tema dell’uso della=
forza
da parte dell’Onu è centrale nel progetto di riforma del
Segretario generale Kofi Annan, che rappresenta la base per la discussione
avviata all'Onu. I vari Paesi=
che
si sono succeduti al podio hanno espresso spesso il loro favore per la prop=
osta
di Kofi Annan di stabilire con una risoluzione specifica del Consiglio di
sicurezza i limiti nel ricorso alla forza per risolvere tensioni
internazionali.
Ma i nodi da sciogliere per
cercare possibili accordi sulla riforma dell’Onu vanno oltre il tema
degli interventi militari. &nbs=
p;
Molti Paesi del Sud del mondo e cosiddetto «G-77», il =
gruppo
delle Nazioni meno ricche, ha=
nno
incominciato a porre con forza in Assemblea l'insoddisfazione per
l'insufficienza delle proposte presentate,=
chiedendo di più sul piano dell’aiuto allo sviluppo e un
più chiaro legame tra sicurezza e sviluppo.
La comunità diplomati=
ca sta
anche valutando il peso della presa di posizione della Cina e degli Stati
Uniti, =
span>membri
permanente con diritto di veto in Consiglio di sicurezza, che hanno detto
di voler perseguire il consen=
so
sulla riforma, ma hanno chiaramente specificato di non vedere di buon occhio alcuna
scadenza a un lavoro di questo genere. La posizione dei due Paesi contrasta=
con
quella di Kofi Annan, che ha esortato a muoversi sulla r=
iforma
anche in assenza del consenso tra gli Stati e a prendere decisioni entro il
2005, possibilmente in occasione del vertice dei Capi di Stato e di Governo=
che
a settembre arriveranno a New York per l’apertura della 60ª sess=
ione
dell’Assemblea generale.
Il pericolo di deludere
la speranza dei popoli
La speranza vera dei popoli
è che il funerale di Giovanni Paolo II si segni come un promemoria=
per
il mondo. Giovanni Paolo II ha voluto incontrare tutti i popoli della Terra=
, ha
aperto le braccia nel gesto della fratellanza a tutte le religioni, ha teso=
la
mano a tutte le povertà di ogni donna, di ogni uomo, di ogni vecchio=
e
di ogni bambino. Il mondo lo sa, nelle capanne del villaggio meno conosciut=
o,
come nei palazzi delle città più cariche di storia, nelle case
confortevoli dei più fortunati, come nelle sterminate baraccopoli
Il mondo lo sa e si è
prima fermato, grato e grave, ad accompagnare il suo Pontificato nell'ora
più difficile e più dolente — ma insieme pervasa da=
lla
serenità di una fede invincibile, di una carità inesausta, di=
una
speranza che si fa certezza
nell'andare all'incontro con il Signore — e poi si è commosso =
nel
ricordo e nell'omaggio corale=
, universale
e senza distinguo, come quello che gli ha tributato con lo straordinario
pellegrinaggio a Roma. Il mondo, con tutte le sue religioni, non ha dimenticato. Dai quattro angoli=
d=
ella
Terra, dall’Estremo oriente alle Americhe, dall’Africa all’Europa, dall'Ocean=
ia
alla Terra Santa, miliardi di
persone hanno pregato p=
er il
Papa prima nell'ora dell'agonia, poi in quella della morte. Al Servo dei se=
rvi
di Dio si sono volti i pensieri e le preghiere di chi di ques=
to
servizio ha reso e rende grazie.
Un abbraccio spontaneo ha unito cattolici, ortodossi e
Si è pregato nelle grandi cattedrali europee e<=
span
style=3D'mso-spacerun:yes'> intorno agli altari di legno=
di
tante missioni africane, così come&=
nbsp;
nelle case della sofferenza in India. Si è pregato in Paesi dal cattolicesimo
fervente, dalla
Slovacchia al Brasile, dagli Stati Uniti alla Croazia, dalle Filippine alla
Lituania, dove masse imponent=
i di fedeli
si sono raccolte nelle chiese e sui sagrati delle cattedrali. E si è
pregato nel Patriarcato
ortodosso di Mosca.
Dalle Filippine, durante
l'agonia di Giovanni Paolo II è giunta una delle testimonianze
più significative dell'amore che al Papa sofferente ha voluto
restituire quel mondo della sofferenza che lui tanto aveva soccorso: i carcerati del penitenziario nazionale di Manila, hanno digiunato e celebrat=
o
Preghiere per il Papa si sono levate nei<=
span
style=3D'mso-spacerun:yes'> grandi santuari del culto di
Maria, da lui più volte visitati, da Lourdes a Fatima fino alla
«sua» Czestochowa, nel Sud della Polonia, dove sorge il monas=
tero
di Jasna Gora nel quale si venera la celebre icona della «M=
adonna
Nera» e presso la quale ad ogni viaggio nel Paese natio il
Papa si fermava in preghiera.=
E alla preghiera si è
affiancato il rispetto del mondo.
L'Onu ha reso il suo omaggio. L'Unione Europea, che in questi anni ha
visto via via compiersi la riunificazione tra q=
uei
«due polmoni» con i quali decenni fa la visione profetica di
Giovanni Paolo II l'aveva invitata a respirare, ha espresso, prima ancora d=
el
cordoglio, la riconoscenza per l'azione di uno dei suoi figli più
grandi, del fratello capace di farsi padre, del
traghettatore nella speranza del terzo millennio.
Il Sud devastato e dolente =
del
mondo ha pianto e piange il difensore di tutti i suoi diritti violati, il
sostegno di ogni dignità, l'avvocato indefesso della causa dell'uomo.
L'Africa =
ha
appreso con tristezza e commozione la notizia della morte di Giovanni Paolo II, un Pap=
a che
ha amato il continente, ricor=
dando
il suo impegno per la d=
ignità
umana e la crescente influenza del suo insegnamento. Dalla Guinea Equatoriale, il Paese=
la pi&u=
grave;
alta percentuale di cattolici, alla Nigeria, quello dove sono maggiori in c=
ifra
assoluta, la memoria e l'omaggio di tutti sono andati al tempo stesso al pa=
dre
e al difensore dei diritti dell'uomo.
Le notizie sul Papa hanno
occupato =
le
prime pagine di quasi tutta la stampa, non solo nei Paesi a maggioranza cattolic=
a o
cristiana; hanno stravolto la
programmazione di tutte le televisioni, comprese quelle arabe, con lunghe dirette o aggiornamenti cont=
inui.
Anche la =
stampa
cinese ha seguito le vi=
cende
nel cuore della Chiesa
cattolica con un rilie=
vo mai
concesso prima. E è venuto un gesto senza precedenti: il Governo di
Pechino, =
che
non ha relazioni diplom=
atiche
con
In Terra Santa, in Israele c=
ome
nei Territori palestinesi, per qualche giorno sono stati cancellati i problemi del Go=
verno
di Sharon e dell'Autorità palestinese, e dalle città sante di Gerusalemme e Betlemme
Le minacce alla pace
non consentono incurie
Ma tutto questo potrebbe es=
sere
vanificato presto e presto disperso, senza che appunto non venga segnato co=
me
un promemoria per il mondo. Per tutti. E soprattutto per i «grandi de=
lla
terra». Né il panorama mondiale consente incurie in questo sen=
so.
La libertà e la pace=
non
possono essere disgiunte, pena il tracollo dell'umanità in una ancora più ineluttabile spirale di distruzi=
one.
Ma la libertà
è solo licenza accordata ai più forti se ad orientarla non è la b=
ussola
dei diritti. Con =
«Dichiarazione
universale dei diritti
dell'uomo» ci fu nel 1948 una scelta radicale: si abbandonava l'idea =
che
al centro della vita sociale dovessero esserci valori collettivi e imperson=
ali,
quali nazione, sangue, razza, etnia, classe, per improntare la convivenza mondiale =
al
valore supremo e inviolabile della persona. Quasi sessant'anni dopo =
8212;
nonostante il crollo di non pochi regimi dittatoriali — l'antica
mentalità sembra risorgere e
propagarsi con devastanti conseguenze.
La democrazia partecipativa=
e
rappresentativa è certo il sistema che più tutela i valori e i
diritti inalienabili dell'uomo, ma è un processo =
sempre
incompiuto. Oggi, soprattutto, ad ostacolarlo e a minacciarlo di regresso=
non
c'è solo la ricorrente tentazione egemonica, ma la pur comprensibile
urgenza di risultati nella lo=
tta
al terrorismo. Ma una democrazia, ogni democrazia, finisce per negare la sua stessa n=
atura
se affida la risposta alle sf=
ide
del terrorismo solo o anche prioritariamente alla forz=
a,
se non fa prevalere nei fatti=
e
nelle scelte interne ed internazionali la testimonianza coerente del rispet=
to e
della tutela dei valori dell'uomo, pur nella legittima e doverosa vigilanza
sulla propria sicurezza.
Anche nelle situazioni
più drammatiche, il prolungamento dell'emergenza in nome della
stabilità e dell'efficienza — e persino dell'autodifesa —
può risultare assai pericoloso. La comunità internazionale, n=
el
suo complesso e attraverso i suoi legittimi organismi, può
temporaneamente sottrarre l'amministrazione di alcune regioni alla diretta competenza dei=
loro
abitanti e delle istituzioni locali, se queste si mostrano palesemente incapaci di tutelare la pace e la =
vita
delle popolazioni. Ma tali emergenze non po=
ssono
essere protratte indefinitamente, pena il venir meno dell'essenza stessa de=
lla
democrazia che si intende instaurare o restaurare, cioè il primato d=
ella
persona umana come depositaria di diritti da riconoscere e non da concedere=
.
A rendere complessa la
convivenza in una società non monolitica, ma formata da una serie di
aggregazioni a livelli diversi, contribuisce indubbiamente la presenza nello
stesso territorio di culture, religioni, etnie differenti. Gli anni della
contrapposizione ideologica tra Est ed Ovest non hanno trovato risposte dav=
vero efficac=
i ai
problemi di tale convivenza, né soluzioni accettabili sembrano poter fornire i modelli elaborati finora. Ciò &egra=
ve;
valido — fatte salve le evidenti differenze di merito — sia per il «mel=
ting
pot», il miscuglio razziale e culturale che caratterizza la
società statunitense e=
che
spesso si esprime per comunità parallele ed aut=
oreferenti,
sia a maggior ragione per l'annullamento forzato delle espressioni minoritarie nella
cultura dominante, come sempre
accaduto nelle diverse forme di totalitarismo.
Anche il tramonto per tanti versi cu=
po del
XX secolo e quest'alba del Millennio che non sa farsi ancora luminosa
dimostrano come l'incontro co=
n il
diverso da sé incuta paura e resti fonte di conflitti. Tuttavia, le
uniche strade percorribili per giungere a un'integrazione e a una convivenza pacifiche
La causa dell’uomo
è la causa della Chiesa
La causa della pace richiede
nuovi strumenti culturali — e soprattutto interculturali — e il pa=
rallelo
rifiuto di stereotipi e di ideologie obsolete come mezzi interpretativi deg=
li
avvenimenti. Per questo, per una prospettiva di un futuro di democrazia mat=
ura,
occorrono percorsi formativi orientati a promuovere una vita di rela=
zione
rispettosa dell'altro e capace di valorizzare le diversità di genere=
, di
età, di razza, di etnia, di cultura e persino di religione.
La democrazia si costruisce=
infatti a partire da una molteplicità di sogge=
tti.
Nei cosiddetti «mondi vitali», come ad esempio famiglia,
comunità religiosa, associazioni, organizzazion=
i di
volontariato, prendono forma sociale le sensibilità individuali. Sono
tali realtà, dunque, a dover individuare quei percorsi
formativi. Alle istituzioni politiche, espressione della società civ=
ile,
si chiede in parallelo=
la capacità di evolversi e di adeguarsi ai rapidi
cambiamenti economici e cultu=
rali.
Solo così tali istituzioni potranno assicurare regole comuni di
convivenza per estendere all'intera collettività uguali
opportunità nei confronti della qualità della vita.
In questi giorni che per la Chiesa sono di Sede va=
cante,
accanto agli umili si sono posti in preghiera — o almeno hanno mostra=
to
di farlo — i «grandi della Terra», i responsabili della c=
osa
pubblica che tante volte Giovanni Paolo II ha voluto incontrare nella sua
azione al servizio dell'uomo, fatta di dialogo e di ascolto.
Proprio ai «grandi de=
lla
Terra», presenti ai funerali del Papa in una misura mai vista pri=
ma in
alcuna assise mondiale, Giova=
nni
Paolo II non chiede omaggio — in quell'ora e per il futuro —,
chiede memoria. Non chiede il tributo di lacrime, chiede l'impegno a rispet=
tare
e ad accogliere la grande lezione sull'unica politica degna, quella dei
costruttori di pace, quella del rispetto dell'uomo, di ogni uomo.
La Messa esequiale =
del Papa ch=
e ha
condotto
Ad essi sono chiamati a
rispondere quei «grandi della terra» che miliardi di persone ha=
nno
visto raccolti sul sagrato di San Pietro accanto alla bara di cipresso di Giovann=
i Paolo
II. Saranno essi a ricordare — e a chiedere conto — delle parol=
e spese
nei giorni di questo straordinario aprile.