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Il 2014 della guerra mondiale parcellizzata

Il 2014  della  guerra mondiale parcellizzata - Pierluigi Natalia

  

Vittime

dimenticate

 

29 settembre 2014

 Tre interventi a poche ore di distanza hanno focalizzato oggi da prospettive diverse il senso, le conseguenze e le responsabilità della situazione di crisi globale oggi in atto, quella che Papa Francesco definisce di guerra mondiale parcellizzata. Questa guerra fa vittime, spesso dimenticate, soprattutto nel sud del mondo - specialmente in Africa, ma non solo - e in questo 2014 ha fatto registrare uno dei suoi anni più terribili. Mentre a New York, all'Assemblea dell'Onu, il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, iscriveva la sfida del terrorismo nel contesto delle ingiustizie mondiali, a Ginevra l'alto commissario dell'Onu per i rifugiati, Antonio Guterres, denunciava che dall'inizio dell'anno oltre due milioni e mezzo di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case in Africa, e Lucy Swing, direttore generale dell’Organizzazione mondiale delle migrazioni (Oim) aggiungeva che nello stesso periodo è stata accertata la morte di 4.077 persone che tentavano di migrare via terra e via mare, per tre quarti, cioè 3.072, nel Mediterraneo.

All'Onu Parolin ha detto che la pace non è il frutto di un equilibrio di poteri, ma piuttosto il risultato di una vera giustizia a ogni livello e, soprattutto, è responsabilità condivisa di individui, istituzioni civili e Governi. Su questo principio – meglio sarebbe su questa convinzione che è ancora tutt'altro che diffusa - occorre costruire le risposte internazionali alle crisi di questa epoca, a partire dalla sfida del cosiddetto Stato islamico (Is) oggi in atto in Iraq e in Siria. Parolin ha ricordato che l’Is punta a distrugere le strutture statali e a sostituirle con un governo mondiale pseudoreligioso (arbitrariamente definito califfato, espressione peraltro che il cardinale non ha usato mai, a conferma che non c'è da parte della Chiesa di Roma nessuna chiamata in correo” dell'islam. L'impostazione dell'Is e di altre organizzazioni terroristiche di matrice fondamentalista islamica, infatti, è respinta con forza da tutte le religioni, a dimostrazione che quello in atto non è uno scontro di civiltà né tantomeno di fede. Tra l'altro, l'azione internazionale è sollecitata dalla Santa sede non solo e non tanto in risposta alle persecuzioni pseudoreligiose, ma a crimini odiosi quali il genocidio e la pulizia etnica e, soprattutto, alle ingiustizie mondiali

Al tempo stesso, secondo la Santa Sede, a una sfida transnazionale bisogna rispondere in modo multilaterale nella cornice della legalità internazionale. Secondo il responsabile della diplomazia vaticana, servono cioè le forze combinate di diverse Nazioni per garantire la difesa di cittadini disarmati e questo è un ambito di competenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Il che suscita qualche riflessione sulla piena legittimità dell'intervento della coalizione guidata dagli Stati Uniti (riproponendo un tema già abbondantemente emerso in tutte le guerre che si sono succedute da venticinque anni a questa parte).

Mentre la questione dell'Is catalizza l’attenzione internazionale, di un’emergenza dimenticata che vede il continente «soffrire proporzionalmente più di altre regioni del mondo» ha parlato Guterres, ricordando che in Africa ci sono in questo momento tre milioni di rifugiati all’estero e dodici milioni e mezzo di sfollati interni. I due milioni e mezzo di nuovi profughi di quest’anno sono stati provocati in particolare dalle crisi tuttora irrisolte nella Repubblica Centroafricana, nel nord della Nigeria, in Sud Sudan e in Libia, andate a sommarsi in questi mesi alle tante che si protraggono in altre aree del continente, dalla regione dei Grandi Laghi, al Corno d’Africa, al Sahel. A porre sfide enormi ai Governi e alle comunità locali che ospitano profughi contribuisce proprio l’insorgere di nuove situazioni di emergenza che si aggiungono a conflitti ormai incancreniti.

Guterres ha deplorato la mancanza di soluzioni durature per aiutare i rifugiati, proponendo «un patto di solidarietà allargato» per aiutare non solo loro ma anche le comunità che li accolgono. «Una cosa è chiara. Senza la volontà politica di una prevenzione efficace tutto quello che può fare la comunità internazionale è reagire alle nuove crisi, lamentarsi delle sofferenze che causano e cercare di rimediare ai loro costi con quantità di denaro sempre maggiori», ha detto l’alto commissario. Dare risposte alle crisi africane, secondo il responsabile dell’Unhcr, significa lavorare per la sicurezza globale. «C’è un chiaro legame — ha osservato infatti Guterres — fra gli avvenimenti in Mali, Nigeria, Libia e Somalia e quello che accadde in Siria, Iraq, Yemen o Afghanistan. Se il mondo lo ignora, l’insicurezza busserà alle porte di ciascuno. Non è solo una questione di solidarietà internazionale. La pace e la sicurezza mondiali sono in gioco».

Profughi africani, oltre che del Vicino Oriente, erano la gran parte degli annegati quest'anno in Mediterraneo. Lo studio «Fatal Journeys: Tracking Lives lost during Migration» realizzato dall'Oim aggiunge che dall’inizio del secolo sono state almeno quarantamila le persone morte nel mondo mentre tentavano di migrare. Ma l’Oim ammonisce che il loro numero è sicuramente più alto, poiché molti decessi si verificano in zone isolate e non sono registrati. Alcuni esperti citati dall’Oim sostengono che per ogni corpo scoperto ve ne sarebbero almeno due mai rinvenuti.

Il rapporto dell’Oim afferma che l’Europa è la destinazione più pericolosa del mondo per la migrazione irregolare, con 22.000 persone morte dal 2000, nella gran parte dei casi nei pericolosi viaggi nel Mediterraneo. Nello stesso periodo, su una delle frontiere più critiche per l’immigrazione, quella tra Messico e Stati Uniti, si sono registrati seimila morti. I dati del 2014 sono un’ulteriore conferma di come la zona più critica al mondo sia appunto il Mediterraneo. Dallo scorso gennaio a settembre, i morti in questo mare sono stati come detto 3.072, mentre se ne sono registrati 251 nell’Africa orientale e 230 al confine tra Messico e Stati Uniti. Secondo Lucy Swing, «è il momento di fare di più che contare il numero di vittime. È ora di coinvolgere il mondo per fermare la violenza contro i migranti disperati».