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Il nostro compito nello stile cristiano delineato da Papa Francesco

Giornalismo missionario

30 aprile 2020

Testimonianza e lavoro, testimonianza e preghiera. Stamani, alla Messa celebrata nella cappella di Casa Santa Marta in Vaticano, la cui trasmissione in televisione è un dono quotidiano che ci aiuta in questo tempo di privazioni imposte dall'epidemia e che ci vedono sempre più insofferenti, Papa Francesco ha parlato del senso della missione, in particolare quella ad gentes, ma anche quella che ciascuno di noi è chiamato a svolgere in forza del proprio battesimo e dell'adesione al Vangelo. Una missione che non ci vede protagonisti, ma collaboratori - si spera preparati - del protagoniismo di Dio. Su questa missione che è testimonianza fatta di lavoro e di preghiera, che non è proselitismo e non è la sia pur comunque buona e lodevole realizzazzione di strutture di servizio, offriamo al lettore la possibilità di ascoltare - o riascoltare - direttamente il Papa.

Ma le parole dell'omelia di questa mattina spingono a qualche riflessione anche sul senso del nostro lavoro di giornalisti, per quanto piccola possa essere la rilevanza di Sosta e Ripresa, che si definisce giornale di ispirazione cattolica. Compito ontologico del giornalismo è documentarsi per documentare il lettore. In un giornale ci sono i fatti e ci sono le opinioni che su ogni fatto è lecito, persino doveroso esprimere. Un giornale può e deve anche fare denuncia, quando le circostanze lo richiedano. Può persino farsi cassa di risonanza di interessi di parte, aderire a una propaganda o alla ricerca di consenso per questo o quello.

Anzi, no. Un giornale di ispirazione cattolica questo non può farlo. Essere giornalisti cattolici non significa, non può significare, sbandierare affermazioni generiche, né tantomeno i simboli dell'appartenenza religiosa come fossero armi da brandire. E magari compiacersene in incontri autocelebrativi con relativo pranzo incluso, come purtroppo spesso accade, o meglio accadeva prima che il Covid-19 obbligasse a rinunciarvi, almeno per ora. Il giornalismo cattolico deve essere missionario nel senso che ai cattolici tutti ha ricordato questa mattina il Papa. Quella di giornalista cattolico non è una papente che ci si dà più o meno arbitrariamente, ma un'adesione a questo stile di verità e di servizio. E per la verità lo è spesso, si potrebbe dire quasi sempre, guardando al lavoro di tanti colleghi.

Il Papa dedicò la 52ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, due anni fa, al tema: «La verità vi farà liberi (Gv 8,32). Notizie false e giornalismo di pace», ovvero al rapporto fra informazione, disinformazione, conflitti e povertà. Perché le notizie false – e ne girano tante sul web e non solo – rappresentano «una distorsione spesso strumentale dei fatti, con possibili ripercussione sul piano dei comportamenti individuali e collettivi».

Non è ovviamente lecito generalizzare. Soprattutto in Italia, ma non solo, alla stampa cattolica (quella vera) e alla stampa missionaria, si affiancano qualche giornale o rivista di nicchia e non pochi giornalisti di rigore ontologico e indipendenza intellettuale, non piegati dalle pressioni soprattutto economiche che dominano oggi il mondo dell'informazione.

Sosta e Ripresa, con i poveri mezzi dei quali può disporre, con le povere forze che la fanno vivere, resterà in questo campo, quello di un giornalismo cattolico che vuole essere missionario nella nostra quotidianità, e continuerà a contrastare faziosità e ignoranza funzionali solo ai diktat di interessi che con il bene comune non hanno nulla a che fare.