Una visione dell'integrazione sociale che non deve essere considerata come mera assimilazione, bensì come incontro serio e reciproco tra culture aventi sullo sfondo una precisa visione di civiltà. L'espressione è di Laura Boldrini, la presidente della Camera. L'ha usata intervenendo alla presentazione, martedì 12 novembre in Campidoglio, del volume "Primato Pontificio ed Episcopato. Studi in onore dell'Arcivescovo Agostino Marchetto", a cura di Jean Ehret, con una prefazione del cardinale Raffaele Farina, Archivista e Bibliotecario emerito (in vaticanese significa in pensione) di Santa Romana Chiesa. L'argomento dei saggi contenuti nel volume non sembrerebbe, a prima vista, di quelli per il grande pubblico, né di interesse politico in senso stretto. Del resto, a presentare il volume c'erano due cardinali, il presidente della Conferenza episcopale Angelo Bagnasco, e il presidente del Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani Kurt Koch, e un arcivescovo, Jean-Louis Bruguès, che di Farina è il successore come Archivista e Bibliotecario di Santa Romana Chiesa, moderati dal direttore de “L'Osservatore Romano”, Giovanni Maria Vian, che è docente di Filologia patristica. Argomento del volume e degli interventi della serata è l'interpretazione del Concilio Vaticano II. E c'è stata una sorta di consacrazione di Marchetto fatta dallo stesso Papa Francesco, che ha dato espressa indicazione di leggere nell'occasione una sua lettera in cui lo definisce il più grande ermeneuta del Concilio stesso.
All'apparenza, dunque, Laura Boldrini sarebbe sembrata fuori contesto. Né a motivarne la presenza basta l'amicizia personale che la lega a Marchetto. La spiegazione sta proprio nella figura e nella vicenda di questo arcivescovo, che non è solo uno studioso, ma un uomo che ha servito per tutta la vita sul campo la Chiesa e la persona umana, da finissimo diplomatico, come ha detto Boldrini, e soprattutto da uomo in cui pensiero e azione si coniugano e si sorreggono a vicenda.
In questo senso, è stato proprio l'intervento di Boldrini, a rendere palese la linea interpretativa offerta da Marchetto delle vicende conciliari e postconciliari, nelle quali "tradizione e rinnovamento si sono abbracciati", come egli stesso afferma. «Ho conosciuto Monsignor Agostino Marchetto molti anni fa e fin da subito ne ho apprezzato l'indole autentica, coraggiosa, umana», ha detto Boldrini, sottolineando che «il terreno comune in cui questa conoscenza è maturata, è stato quello dei migranti e dei rifugiati, negli anni in cui Egli è stato segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, tra il 2001 ed il 2010, dopo avere rappresentato la Santa Sede in Africa, in America latina, presso la FAO ed altre organizzazioni internazionali». Per Laura Boldrini, dunque, la stima per Marchetto – più che ricambiata - è maturata sul campo in cui negli ultimi decenni si è affrontata una delle maggiori e dirimente questioni di civiltà della mostra epoca, appunto quella dei migranti e dei profughi. (Per inciso, molto più modestamente, questo aspetto spiega anche l'amicizia con Marchetto e Boldrini che onora chi scrive queste righe).
Il Concilio Vaticano II, ha trovato in Marchetto non solo il miglior ermeneuta, ma anche un attuatore. Come ha scritto Henri Bergson, egli ha saputo, appunto, agire come un uomo di pensiero e pensare al tempo stesso come un uomo di azione. «Come uomo di fede, aggiungo io, e di diritto – ha detto Boldrini -. È sempre stato costante, infatti, il suo richiamo al diritto e alle Convenzioni internazionali. Per esigerne il rispetto, anche a costo di alzare la voce».
Ed è stata sempre la presidente della Camera – uno dei pochi politici italiani legittimati a dare sul fenomeno della mobilità umana valutazioni fondate – a ricordare che Marchetto, «divenuto noto all'opinione pubblica italiana ed internazionale per aver saputo versare nel suo lavoro un'umanità profonda accompagnata da una chiara solidità intellettuale», è stato un autentico figlio della Chiesa e del Concilio, incarnando «una visione realmente cristiana dell'accoglienza delle popolazioni migranti», appunto «proponendo nella sua azione e nei suoi scritti una visione dell'integrazione sociale che non deve essere considerata come mera assimilazione, bensì come incontro serio e reciproco tra culture aventi sullo sfondo una precisa visione di civiltà».
Sul questo aspetto si potrebbero scrivere volumi ponderosi almeno come quello presentato in Campidoglio. Ma per una buona sintesi esplicativa forse basta riportare proprio l'ultima parte dell'intervento della presidente della Camera: «questa idea d'integrazione – ha detto Boldrini - sorregge l'impegno solidale di una rete che nel nostro Paese è molto ampia - l'abbiamo vista all'opera in queste ultime settimane di fronte al dramma di Lampedusa - e che comprende gruppi e associazioni, ma anche enti locali e istituzioni centrali».
«In particolare, il mondo cattolico ha trovato su questo tema - grazie anche all'azione di monsignor Marchetto - una grande occasione per rinnovare la tradizione di opere sociali, cogliendo nei flussi migratori una nuova sfida per la comunità cristiana.
«La presenza migrante in Italia, ormai radicata e matura, si trova a fare i conti con la realtà drammatica della crisi economica globale. Credo siano evidenti ormai i limiti di un approccio, comune a non pochi Paesi occidentali, che tende ad aderire alla prospettiva del "lavoratore ospite", senza considerarlo nella sua dignità di persona, e a erigere barriere e ostacoli. I modelli normativi su lavoro, abitazione, servizi sociali assistenziali e sanitari, scuola, convivenza civile sono spesso stati improntati alla diffidenza e all'esclusione. Il loro superamento può essere immaginato partendo dalle esperienze del volontariato e dell'associazionismo, che monsignor Marchetto conosce così bene e che ha contribuito a creare».
«È tempo di dare vita – ha concluso Boldrini a una nuova stagione di integrazione sociale tramite un impegno "normale" e non emergenziale di istituzioni, organismi ed individui. È un passaggio importante, che comporta una seria capacità di governo nei processi di globalizzazione che stiamo vivendo. Devono essere pertanto sollecitate alcune precise responsabilità che esigono un rigoroso impegno professionale ed istituzionale, poiché oggi è richiesto un livello diverso e più elevato di accoglienza, che non può ridursi, come avvenuto nel passato, soltanto alla dimensione securitaria, né può implicare - come disse una volta proprio monsignor Marchetto - "un'accoglienza al ribasso". Papa Francesco, con le sue parole profonde, è a ricordarcelo ogni qualvolta si presenta l'occasione. Rimango convinta che accettare "ribassi" sui diritti umani fondamentali sarebbe una sconfitta sociale, giuridica e civile per tutti. E questo la nostra cultura democratica e i nostri valori umanitari non lo possono consentire».