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L'esortazione apostolica post sinodale Christus vivit di Papa Francesco

L'esortazione apostolica post sinodale Christus vivit di Papa Francesco - Pierluigi Natalia

Giovani

in cammino

con la Chiesa

 

Marzo 2019

 

Come ogni simile scritto papale, l’Esortazione Apostolica Christus vivit, firmata da Papa Francesco lo scorso 25 marzo nella Santa Casa di Loreto e pubblicata nei giorni seguenti, in parte recepisce il documento finale di un Sinodo, quello dello scorso ottobre in Vaticano su “I giovani, la fede, il discernimento vocazionale”, in parte lo amplia e lo completa aggiungendo una tappa importante al cammino di questo pontificato. Del resto la stessa espressione “fare sinodo”, letteralmente “fare stada insieme”, usata da Francesco, mostra questa sua visione identitaria della Chiesa. “Mi sono lasciato ispirare – dichiara Francesco - dalla ricchezza delle riflessioni e dei dialoghi del Sinodo. Non potrò raccogliere qui tutti i contributi, che potrete leggere nel Documento Finale, ma ho cercato di recepire le proposte che mi sembravano più significative. In questo modo, la mia parola sarà arricchita da migliaia di voci di credenti di tutto il mondo che hanno fatto arrivare le loro opinioni al Sinodo. Anche i giovani non credenti, che hanno voluto partecipare con le loro riflessioni, hanno proposto questioni che hanno fatto nascere in me nuove domande”.

Non basta un articolo per approfondire ogni aspetto della Christus vivit, che tra l'altro non si presenta con percorso strutturato, dichiarato all’inizio, ma alterna generi di interlocuzione e argomentazione. Il che dà motivo di riflessione, non solo su quanto comunicato, ma sul modo di comunicarlo. Sembra quasi che a Francesco il formato testuale classico stia stretto e che cerchi di riportare sulla carta le moderne tecnologie comunicative multimediali e la loro pluralità di linguaggi, e con una serie di citazioni che sembrano altrettanti rinvii a link diversi. E forse c'è un implicito suggerimento a quanti hanno il compito di trasmettere il magistero ecclesiale a esplorare queste moderne potenzialità comunicative per raggiungere le generazioni nate o cresciute in una cultura multimediale.

Il discorso porterebbe lontano, ma qui dovrà bastare, nell'invitare alla lettura del testo completo e, magari, del documento finale del Sinodo, indicarne alcuni punti cruciali. Anche perché a una lettura attenta una struttura traspare, magari sottotraccia, e risponde ai tre passi dello schema del discernimento gesuitico: riconoscere, interpretare, scegliere. In estrema sintesi, la si individua raggruppando tre a tre i nove capitoli della Christus vivit. I primi tre riprendono il lavoro di ascolto della realtà che aveva impegnato il Sinodo, per lasciare spazio a quanto avviene quando la Parola di Dio incontra i giovani e interagisce con le relazioni tra loro, con le famiglie, con le loro comunità, con la società in generale. Non un'indagine astratta, ma un confronto con le vite concrete.

Dal documento finale del Sinodo Francesco cita quasi alla lettera l'esame di tre situazioni proprie della condizione dei giovani (e non solo) nel mondo di oggi. La prima è la crescente pervasività dell’ambiente digitale, con tutte le sue potenzialità come occasione di incontro e dialogo, ma anche le sue ombre e i suoi rischi di manipolazione e sfruttamento. La seconda è la condizione dei migranti, paradigma del nostro tempo e dell'identità dei credenti. Il terza sono gli abusi, sui quali si ribadisce la necessità di trasparenza, l’impossibilità di fare marcia indietro nelle misure di prevenzione e la richiesta ai giovani di collaborare per trasformare questa crisi in una opportunità di vera riforma della Chiesa.

Quarto, quinto e sesto capitolo sono il cuore dell'esortazione e ne spiegano il titolo. A ogni giovane la Chiesa può offrire solo l'incontro con quel Dio vivente nel quale crede e che sperimenta, un incontro che può aprire nuovi orientamenti per la vita di ciascuno. Il dinamismo di Dio cerca risposte autentiche alla voglia di vita propria della giovinezza e insieme mostra cosa sia un inganno che manipola e asservisce (cap. 4). Da qui l'appello a mettere in gioco la propria libertà in ogni scelta, da quelle dell’impegno professionale, sociale e politico, a quelle generali dell’esistenza (cap. 5). In queste pagine Francesco ribadisce l’importanza di rischiare, anche a prezzo di errori, piuttosto che restare alla finestra o sul divano, e sollecita i giovani a uscire da ogni apatia e di farsi protagonisti del cambiamento per un mondo più giusto, per una risposta cristiana alle inquietudini esistenziali, sociali e politiche. E al tempo stesso li ammonisce a non cadere nella trappola che in molti, con suadente falsità, propongano loro: tagliare i legami con le proprie radici, negare l’esperienza di chi li ha preceduti (cap. 6). Perche questo li renderebbe più deboli, massificati e manipolati. Il Papa sostiene che solo una prospettiva sinodale, con giovani e anziani che camminino insieme, consentirà loro radicarsi nel presente, sanare le ferite del passato, proiettarsi nel futuro.

Gli ultimi tre capitoli chiedono di attuare tutto ciò con una pastorale strutturalmente sinodale. “Animati da questo spirito, potremo procedere verso una Chiesa partecipativa e corresponsabile, capace di valorizzare la ricchezza della varietà di cui si compone, accogliendo con gratitudine anche l’apporto dei fedeli laici, tra cui giovani e donne, quello della vita consacrata femminile e maschile, e quello di gruppi, associazioni e movimenti. Nessuno deve essere messo o potersi mettere in disparte», si legge nel settimo capitolo, particolarmente denso di indicazioni pastorali. Le comunità cristiane sono invitate ad accogliere senza troppe barriere. Si riconosce che i luoghi tradizionali della pastorale (oratori, centri giovanili, associazioni, movimenti) sanno incontrare le esigenze di molti giovani, ma ne escludono altri che dovrebbero trovare aperte le porte, da quanti professano altre fedi o si dichiarano non religiosi, a quanti sono nel dubbio o peggio portano le ferite o le cicatrici di traumi o errori. Secondo il Papa, la mera trasmissione delle verità dottrinali può diventare un'ossessione che impedisce alla Chiesa il suo dovere di inclusione. Alle scuole cattoliche, per esempio, è chiesto di non trasformarsi in bunker a difesa dagli errori della cultura esterna.

L'ottavo capitolo presenta la vocazione nel suo significato proprio di chiamata all’amicizia con Gesù, che si realizza nel servizio agli altri, dove si collocano le due questioni che interpellano la maggioranza dei giovani. La prima è quella dell’amore, della sessualità come autentico dono di Dio e non come tabù, della formazione di una nuova famiglia. La seconda è il lavoro, rimarcando che disoccupazione e sfruttamento sono la principale minaccia per la società e un'emergenza di cui la politica ha il dovere di occuparsi. Quanto alle vocazioni sacerdotali e religiose, l’invito rivolto ai più anziani è di osare proporle come possibilità e quello ai giovani è di non scartarne a priori l’eventualità, mantenendosi liberi e attenti alla voce dello Spirito.

Al discernimento vocazionale, cioè alla capacità di riconoscere a cosa il Signore chiama ciascuno, è dedicato il nono capitolo. Ai giovani papa Francesco ricorda che si tratta di un percorso esigente, che implica disponibilità a mettersi in gioco, per comprendere davvero cosa merita di spendere la propria vita. L'amicizia con Dio si misura nella dimensione del dono, ricevuto e riofferto nella libertà. Questa gratuità deve essere la prima testimonianza verso i giovani di quanti, sacerdoti o religiosi, laici o anche altri giovani, sono chiamati ad accompagnarli in un processo di discernimento vocazionale, con attenzione e ascolto della persona e con la valorizzazione dei suoi slanci vitali, aiutando a riconoscere e senza pretendere di indicare la strada che ciascuno riterrà di essere vocato a seguire.