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La Evangelii gaudium di Papa Francesco

La Evangelii gaudium di Papa Francesco - Pierluigi Natalia

  

Fuori

  

dalle

  

sacrestie

 

  

  

26 novembre 2013

 

Fuori dalle sacrestia, fuori dalle chiese ridotte a supermercati di sacramenti. E anche fuori dalle comunità autereferenziali e non disposte a compromettersi con la storia quotidiana. Fuori dalla connivenza con situazioni sociali inaccettabili. Fuori: nel mondo, con la gioia del messaggio del Vangelo. Nell'esortazione apostolica Evangelii gaudium di Papa Francesco, data a conclusione dell'Anno della fede, non c'è solo il tradizionale messaggio che i Papi rivolgono alla Chiesa dopo un sinodo dei vescovi, in questo caso quello dello scorso anno sulla cosiddetta nuova evangelizzazione. Del resto, vi manca la tradizionale dicitura “post-sinodale”. Si deve invece, a giusta ragione, parlare di un manifesto programmatico di un pontificato che fin dai primi gesti e dalle prime parole ha colpito profondamente in questi mesi i cuori, all'interno e all'esterno della Chiesa. Ne fanno fede tanto la dimensione, 220 pagine nella versione italiana, quanto i temi trattati.

Il testo è, appunto, un'esortazione apostolica, è rivolto cioè ai cattolici (vescovi, presbiteri, diaconi, persone consacrate, fedeli laici). La titolazione specifica che riguarda l'annuncio del Vangelo nel mondo contemporaneo. L'espressione “nuova evangelizzazione”, pur presente nel testo, dunque non vi compare. Si tratta di un aspetto significativo. Non è una novità il Vangelo, ma una ricchezza che in ogni tempo si è chiamati a spendere e a moltiplicare. Papa Francesco, infatti, fin dall'inizio del documento afferma di rivolgersi ai fedeli cristiani per invitarli «a una nuova tappa evangelizzatrice» marcata dalla gioia che «con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce». E aggiunge esplicitamente di voler «indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni». La strada indicata è quella della «conversione pastorale e missionaria». Singoli credenti e comunità ecclesiali sono chiamati a trasformare nel profondo consuetudini, stili, linguaggio, strutture, orientandoli verso l’evangelizzazione piuttosto che verso l’autopreservazione.

Su questa strada serve la disponibilità a farsi permeare dalla gioia evangelica e a farsene missionari nel mondo. «Ci sono cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua», scrive subito il Papa, pur aggiungendo il riconoscimento che la gioia non si vive allo stesso modo in tutte le tappe e circostanze della vita. «Capisco le persone che inclinano alla tristezza per le gravi difficoltà che devono patire – dice il Papa - però poco alla volta bisogna permettere che la gioia della fede cominci a destarsi, come una segreta ma ferma fiducia, anche in mezzo alle peggiori angustie».

Nonostante l'imponenza del documento, il Papa rinuncia a trattare «gli innumerevoli temi commessi all'evangelizzazione del mondo attuale». Infatti dice di non credere opportuno «che il Papa sostituisca gli Episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori. In questo senso, avverto la necessità di procedere in una salutare “decentralizzazione”».

Il Papa sceglie di soffermarsi su sette punti, uniti da un preciso filo conduttore: il compito missionario della Chiesa (il primo punto è proprio “La riforma della Chiesa in uscita missionaria”). Nel testo non manca la presa d'atto di situazioni di latitanza, se non di peccato tout court. In questo senso, tra i punti indicato dal papa figura al secondo posto quello sulle tentazioni degli operatori pastorali, dal disincanto all'autoreferenzialità.

Segue le riflessione sul sacerdozio comune dei battezzati, nel capitolo sulla Chiesa intesa come la totalità del Popolo di Dio che evangelizza. Chiara e puntuale è qui – e non solo – l'insistenza sulla ricchezza insostituibile della donna e la precisazione che quella ministeriale è una gerarchia di servizio, non di potere, tanto meno di prevaricazione maschilista. Significativo è il riferimento al fatto che il confessionale non può essere un «luogo di tortura» e l'affermazione che «la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c'è posto per ciascuno con la sua vita faticosa». Ne consegue l’invito a riscoprire la misericordia come «la più grande di tutte le virtù», evitando che nella predicazione «alcuni accenti dottrinali o morali» oscurino eccessivamente il messaggio di amore del Vangelo.

Il quarto punto riguarda il ruolo specifico dei pastori con particolare riferimento all'omelia e ala sua preparazione. Secondo Papa Francesco l'omelia non deve essere uno sfoggio di preparazione teologica o uno strumento di trasmissione di convinzioni proprie, ma un momento propriamente liturgico, destinato a contribuire al perenne dialogo tra Dio e il suo popolo. Un momento da preparare ogni volta accuratamente, per farsi permeare dalla Parola di Dio.

Estremamente chiara, nei capitoli dedicati all’inclusione sociale dei poveri e alla pace e il dialogo sociale, è la reiterazione della dottrina sociale delle Chiesa con la denuncia di quelle che il Papa chiama economia dell'esclusione e dell'iniquità e idolatria del denaro. Papa Francesco ripete con forza la sua denuncia della globalizzazione dell'indifferenza dinanzi al grido di dolore degli altri, della “cultura dello scarto” nella quale «si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare».

A quasi mezzo secolo dalla Populoum progressio di Paolo VI, Papa Francesco ne riprende il senso profondo e toglie ogni alibi, almeno per i cristiani, a quel liberismo – un pervertimento del concetto di libertà - che di fatto si è tradotto sempre in discriminazione. «Alcuni – scrive - ancora difendono le teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante. Nel frattempo, gli esclusi continuano ad aspettare». Secondo Papa Francesco, l'adorazione del biblico vitello d'oro «ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano. La crisi mondiale che investe la finanza e l’economia manifesta i propri squilibri e, soprattutto, la grave mancanza di un orientamento antropologico che riduce l’essere umano ad uno solo dei suoi bisogni: il consumo». Le responsabilità sono chiare e i cattolici non possono ignorarle: il Papa ricorda che lo squilibrio tra i pochi che hanno tantissimo e il moltissimi che non hanno nulla deriva «da ideologie che difendono l'autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria».

Su questo primato della persona umana il Papa innesta anche la riflessione sul dialogo con le altre confessioni e con le diverse culture. Il documento si conclude con le motivazioni spirituali per l’impegno missionario, senza le quali non si possono portare frutti,  perché per essere evangelizzatori con lo Spirito «non servono né le proposte mistiche senza un forte impegno sociale e missionario, né i discorsi e le prassi sociali e pastorali senza una spiritualità che trasformi il cuore».

Come ogni testo pontificio, anche l'Evangelii gaudium è densa di citazioni. Un documento tanto ponderoso necessita di studio e approfondimento reiterati. Ma un elemento appare particolarmente significativo già a una prima lettura: oltre ai riferimenti biblici e a quelli ai predecessori, soprattutto Paolo VI, e al Concilio, i testi richiamati vengono dalle conferenze episcopali latinoamericane, africane, asiatiche e australiane. L'ecclesialità non è più eurocentrica. La missio ad gentes ha oggi nuovi ed evidenti poli d'irradiazione.