Contro la minaccia del cosiddetto Stato islamico (Isis) si dicono mobilitati in pratica tutti i Paesi, ma questo non cambia né le alleanze, né gli obiettivi di ciascuno di loro. Se ne è avuta diverse dimostrazioni in questi giorni. E con questa chiave di lettura può essere letta anche l'ennesima strage perpetrata dall'Isis questa mattina nella capitale irachena Baghdad. L’esplosione di un camion bomba ha ucciso decine di persone — settantasei morti accertati nel momento in cui scrivo questo articolo, ma il bilancio sembra purtroppo destinato a salire — e ne ha ferite più di duecento nell’affollato mercato di Jameela nel quartiere di Sadr City, abitato in maggioranza da sciiti. Le vittime nel mercato, compresi donne e bambini, sono ovviamente civili, ma l'Isis nel rivendicare l'attentato afferma di aver voluto colpire l’esercito iracheno e le milizie sciite. Nei giorni scorsi, comunque, l’Isis aveva ribadito di considerare le popolazioni sciite tra i suoi principali obiettivi.
Nonostante l’inequivocabile condanna da parte di tutte le principali autorità religiose sunnite, la confessione islamica alla quale il gruppo terrorista pretenderebbe di appartenere, le divisioni confessionali continuano ad avere un peso nei conflitti in Iraq e più in generale nel Vicino oriente.
Diversi osservatori, compreso chi scrive, trovano questa componente anche nella fase di forti tensioni politiche registrate in queste ore in Iraq. Il primo ministro, Haider Al Abadi, che nei giorni scorsi aveva annunciato un piano di riforme anticorruzione per fronteggiare il malcontento popolare, ha licenziato ieri il segretario generale del Consiglio dei ministri, Hamid Khalaf Ahmed, considerato un fedelissimo dell’ex premier Nuri Al Maliki
Ma i contrasti confessionali, oltre che etnici, si aggiungono anche alle cause soprattutto politiche, della mancata coesione tra tutti i Governi, dell’area e non solo, che dichiarano di voler combattere l’Isis, compresi quelli che a suo tempo lo hanno sostenuto e finanziato, in funzione appunto antisciita. Vale per il fronte iracheno e vale soprattutto per quello siriano, per non parlare delle connivenze, più o meno ammesse, delle quali ha goduto nel suo conflitto contro i curdi.
Proprio ieri, i cacciabombardieri F-16 statunitensi hanno effettuato i primi raid contro l’Isis in territorio siriano partendo dalla base turca di Incirlik, dalla quale finora erano decollati solo droni, gli aerei senza pilota. Il Pentagono ha specificato che ai raid partecipa anche l’aviazione turca. La precisazione tenderebbe a dimostrare che contro l'Isis è schierata anche la Turchia, ma di fatto l'aviazione di Ankara da giorni sta colpendo soprattutto postazioni dei curdi nel nord dell’Iraq.
Giova ricordare che Iran e Siria, insieme con l'Iraq di Saddam Hussein, costituivano il cosiddetto asse del male che Bush s'inventò per giustificare le sue guerre cosiddette antiterrorismo e per “esportare democrazia”. Di fatto, si parla di tre Paesi a maggioranza sciita, particolarmente invisi dall'Arabia Saudita, principale alleato statunitense nell'area, oltre che al Qatar e ai ricchi Emirati. Tutti Paesi, a proposito di democrazia, nei quali il potere è molto più assoluto di quello che abbiano mai avuto gli ayatollah iraniani, o l'iracheno Saddam Hussein o il siriano Bashar Al Assad, che certo non erano e sono degli angioletti.
E allora la sedicente lotta al terrorismo appare ancora una volta una scusa per regolare altri conti. Del resto, gli attentati alle Torri gemelle, progettati dal saudita Osama bib Laden ed eseguiti da diciannove sauditi su venti terroristi, furono seguiti da guerre contro due Paesi, Afghanistan e Iraq, che non c'entravano niente. Né lo schema sembra diverso oggi, nonostante l'accordo sul nucleare raggiunto tra Washington e Teheran. Accordo, per inciso, condannato esplicitamente solo da Israele, ma che altri Paesi non vedono l'ora di sabotare. E certo a mutare i rapporti non basta il dichiarato impegno di Teharn contro l'Isis. Anche perché per alcuni Paesi, come appunto Arabia Saudita e Turchia, l'Isis non è certo il principale nemico da abbattere e, anzi, fa abbastanza comodo in funzione antisiriana e anticurda.
Per esempio, il ministro degli Esteri saudita, Adel Al Aubeir, in visita a Mosca lo scorso fine settimana, ha seccamente respinto l’iniziativa russa di formare per combattere l'Isis una più una più vasta coalizione, che non abbia come obiettivo anche quello di rovesciare il Governo siriano di Bashar Al Assad. Questo scenario «non fa parte dei nostri piani», ha detto durante la conferenza stampa congiunta con il suo omologo russo, Serghei Lavrov.. «L’Arabia Saudita fa già parte di una coalizione che lotta contro i terroristi» ha aggiunto, in riferimento all’adesione di Riad al quella guidata dagli Stati Uniti.
Già a fine giugno, il presidente russo, Vladimir Putin aveva proposto la creazione di un'alleanza più ampia che combattesse l'Isis e che a questo scopo comprendesse anche l’esercito regolare di Damasco schierato sul terreno contro il gruppo jihadista. Lavrov continua a portare avanti l'iniziativa – la settimana scorsa era a Doha – ma per ora senza successo. «Non si tratta di formare una coalizione classica con un capo supremo delle forze armate al quale obbedisca. Si tratta di coordinare le azioni di tutti coloro che combattono già i terroristi, ovvero gli eserciti siriano e iracheno, i ribelli siriani e i curdi, affinché prendano coscienza della loro missione principale: lottare contro la minaccia terroristica e rinviare i loro regolamenti di conti. A differenza dell’Is, Al Assad non minaccia alcun Paese vicino», ha insistito il ministro degli Esteri russo.
Ma il presidente siriano resta per molti un nemico da abbattere. Contrariamente a quanto accade in Iraq, la coalizione guidata dagli Stati Uniti opera in territorio siriano senza il consenso del Governo di Damasco. Ma nell’intricata interconnesione dei contrasti tra le potenze dell’aerea e dei loro rispettivi alleati, i rapporti tra i soggetti coinvolti non rispondono a scelte di campo rigide. Ma proprio l'Iran potrebbe essere la carta che spariglia la partita. Il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, il ministro degli Esteri dell’Iran, si è ieri recato in visita a Damasco e ha nuovamente assicurato sostegno alla Siria così come ne fornisce all'Iraq Non sono stati diffusi dettagli sui colloqui tra Zafir e lo stesso Al Assad, ma tanto l’agenzia di stampa ufficiale iraniana Irna, quanto quella siriana Sana hanno parlato di «positivi scambi di opinione». Alla vigilia del viaggio di Zarif in Libano e Siria, la portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Marzieh Afkham, aveva dichiarato che Teheran avrebbe pronto un nuovo piano di pace per la Siria basato «sul rispetto del legittimo diritto del popolo siriano a ottenere riforme e a decidere del proprio futuro».