Home » Scritti da poco » La sfida di Boko Haram in Nigeria

La sfida di Boko Haram in Nigeria

La sfida di Boko Haram in Nigeria - Pierluigi Natalia

 

Jihadismo

contro

l'islam

 

 

1 dicembre 2014

 

L'intensificazione degli attentati terroristici e degli attacchi armati registrate nell'ultima settimana nel nord-est della in Nigeria confermano come proprio i musulmani siano tra gli obiettivi principali dell’azione di Boko Haram. Il gruppo infierisce su chiunque si opponga alla sua visione dell’islam e, comunque, alla sua azione che da cinque anni a questa parte ha ucciso migliaia di persone. Sono in maggioranza musulmane, infatti, le popolazioni in ostaggio della violenza jihadista fatta di ferocia terroristica e di un’offensiva militare che l’esercito nigeriano non sembra in grado di arginare.

Questa mattina i miliziani jihadisti hanno attaccato Damaturu, la capitale dello Stato di Yobe, uno dei tre, insieme con l’Adamawa e il Borno, loro originaria roccaforte, nei quali è in vigore da oltre un anno e mezzo lo stato d’emergenza. La circostanza conferma l’intenzione di Boko Haram di stabilire il proprio controllo sull’intera regione, mantenendo costante la minaccia su tutti gli obiettivi. La scorsa settimana, altri attentati avevano provocato gravi stragi a Yola, la capitale dell’Adamawa, e a Maiduguri, quella del Borno. Venerdì scorso un attacco aveva causato cento morti — secondo le autorità locali — nella moschea principale di Kano, maggiore metropoli settentrionale della Nigeria.

Sempre oggi, all’attacco a Damaturu si è aggiunto un altro atto terroristico a Maiduguri, a opera ancora una volta di un’attentatrice suicida che si è fatta esplodere in un mercato.

La situazione nel nord-est della Nigeria si è ulteriormente incancrenita proprio nell’ultimo anno e mezzo, con più di tremila vittime di Boko Haram, in maggioranza civili (sulle perdite militari i dati del comando dell’esercito differiscono da quelli di altre fonti, anche ufficiali). Ma soprattutto c’è stata una radicalizzazione in senso jihadista del gruppo, che all’origine aveva come obiettivi le strutture governative e gli interessi occidentali, come banche e sedi di società commerciali. Via via, l’azione di Boko Haram si è diretta sempre di più contro le popolazioni, sia cristiane — minoranza nel nord del Paese — sia musulmane. Proprio queste hanno ormai versato il maggiore tributo di sangue, a conferma che la distorta visione dell’islam di Boko Haram considera nemici quanti aspirano alla pacifica convivenza tra culture e sensibilità diverse.

Si tratta, purtroppo, di un fenomeno presente in molti Paesi, non solo islamici.

Del resto, è proprio chi cerca il dialogo ad essere considerato nemico da tutti gli estremismi. Per fare un riferimento a vicende di casa nostra, le Brigate rosse non ammazzavano i fascisti, ma le persone impegnate in quel confronto riformista che a suo tempo ha consentito lo sviluppo italiano.

Se sono state sconfitte, nel rispetto dello Stato di diritto, è soprattutto perché la loro visione non ha trovato sponde nell'opinione pubblica.

Per quanto riguarda l'estremismo di matrice fondamentalista religioso, la questione è un po' più complessa. Ma in ogni caso, a Nigeria è un esempio evidente di come difficoltà economiche, disuguaglianze sociali, annose ingiustizie e mancato sviluppo umano finiscano per dare nutrimento a questa feroce violenza.

La moschea colpita venerdì scorso è quella dove svolge la sua predicazione l’emiro di Kano, Muhammad Sanusi, la massima autorità religiosa dei musulmani della Nigeria. E ci sono pochi dubbi sul fatto che la strage perpetrata da Boko Haram sia una risposta proprio alla condanna del gruppo che Sanusi aveva ribadito la settimana scorsa. Il leader religioso, in un incontro di preghiera per le vittime delle violenze, aveva al tempo stesso denunciato l’inefficacia delle forze governative contro Boko Haram e invitato i fedeli a difendersi dai miliziani jihadisti. «Dovremmo essere pronti a dare la nostra vita», aveva detto Sanusi, in quello che la stampa nigeriana aveva interpretato come un inequivocabile riferimento alla necessità di opporsi a Boko Haram anche con le armi.

L’emiro di Kano non ha da tempo poteri politici — in epoca coloniale aveva anche competenze amministrative — ma mantiene un’altissima influenza. Sanusi, che fino allo scorso febbraio era stato governatore della Banca centrale nigeriana, fu scelto come emiro di Kano dopo la morte lo scorso giugno, di Abdullahi Ado Bayero, che lo era stato per oltre mezzo secolo, dal 1963.

Sanusi ha sempre confermato la linea del predecessore, il quale in più occasioni aveva affermato che i musulmani non possono considerare Boko Haram appartenente all’islam. Il vecchio emiro era anche scampato a un agguato, attribuito al gruppo jihadista, nel quale era stato ucciso un suo accompagnatore. Una delle sue ultime apparizioni in pubblico era stata in gennaio, quando nonostante l’aggravarsi delle sue condizioni aveva voluto partecipare a un incontro di preghiera organizzato dopo attentati di Boko Haram che avevano provocato 150 morti in poche ore.

In ogni caso, quanto sta accadendo in Nigeria spinge a riflettere sugli irrisolti problemi del più popoloso Paese dell'Africa. La questione religiosa, comprese le sue componenti fondamentaliste, non è l'unico né il più rilevante dei nodi da sciogliere in un Paese nel quale l'uno per cento degli abitanti detengono metà delle ricchezze e lo sfruttamento dell'immenso patrimonio di risorse petrolifere e minerarie in genere non si è mai tradotto in miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni.

Anche per questo appare in gran parte pretestuoso il fatto che le violenze di Boko Haram siano il principale argomento di scontro politico in vista delle elezioni generali del prossimo febbraio. Tra il Partito democratico del popolo (Pdp), quello del presidente federale Goodluck Jonathan, che si ricandida, e il Congresso dell’alleanza progressista (Apc), coalizione di quattro partiti di opposizione, il contrasto si fa sempre più aspro. E non si tratta solo di toni — entrambi gli schieramenti non esitano più a fare uso di una retorica di tipo bellico — ma anche di ordine pubblico, come hanno dimostrato nelle ultime settimane diversi episodi di tafferugli tra i sostenitori delle due parti e alcuni saccheggi di sedi dei partiti di opposizione. Il che secondo alcuni osservatori proverebbe che il Governo non controlla più né la situazione, né il suo stesso partito.

Come detto, da oltre un anno e mezzo Jonathan ha proclamato lo stato d’emergenza nel nord-est, ma la situazione è addirittura peggiorata, non solo per l'azione di Boko Haram, ma anche per comportamenti brutali contro le popolazioni civili messi in atto dalle stesse forze governative, dei quali ci sono notizie sempre più insistenti. Questo ha dato argomenti all’opposizione non solo nel nord del Paese, a maggioranza musulmana, ma anche nel sud a maggioranza cristiana, sui cui voti si fondano in pratica tutte le speranze di Jonathan di essere rieletto.

Ma mentre si parla molto della situazione nel nord-est ormai fuori controllo, meno attenzione la stampa internazionale pone sulle conseguenze causate a un’economia ancora fragile da un livello di corruzione senza precedenti, in una situazione che ricorda le ore più buie del brutale regime militare degli anni Novanta guidato da Sani Abacha.