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La vicenda delle armi chimiche in Siria

La vicenda delle armi chimiche in Siria - Pierluigi Natalia

  

Le bugie

  

per fare la guerra

  

10 aprile 2014

 

Nella scorsa estate, l'attenzione del mondo restò concentrata come non mai sulla vicenda siriana. Non tanto e non solo perché quel popolo fosse sottoposto a violenze particolarmente efferate. C'erano allora e ci sono oggi tante situazioni analoghe nel mondo, spesso incancrenite da decenni, che si perpetuano in una generalizzata indifferenza delle opinioni pubbliche del nord del mondo, salvo qualche sussulto di coscienza in occasione di qualche “campagna televisiva”. No: il motivo vero è che si profilò una guerra più generalizzata, con il perico, per la prima volta dal 1989, che russi e americani potessero trovarsi su fronti opposti.

Di fare da detonatore alla crisi minaccio di essere la pubblicazione sui social network di video con l'immagine di civili uccisi in un attacco con armi chimiche. Sotto accusa, soprattutto da parte dei Governi di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Turchia, tutti Paesi Nato, fu subito messo l'esercito governativo siriano e il cattivo di turno, cioè il presidente Bashar Al Assad. Sia Obama, sia Cameron sia Hollande (che da quanto è diventato presidente non ha perso occasione per mandare soldati in giro a combattere) affermarono a più riprese di avere risultanze di intelligence che comprovavano l'accusa. Del resto quella della minaccia di armi chimiche era stata la stessa motivazione – con prove false presentate ai rispettivi Parlamenti – con la quale George W. Bush e Tony Blair, avevano “giustificato” dieci anni prima l'attacco all'Iraq di Saddam Hussein (dove si prolunga tuttora quella guerra). Dall'altra parte, la Russia ammoniva che di armi chimiche in Siria ne giravano anche tra i ribelli.

In mezzo, c'erano, oltre all'angoscia di quanti invocavano pace, le perplessità di quanti – tra i primi ci fu chi scrive questo articolo – avevano seri dubbi sul fatto che Al Assad, le cui truppe erano in situazione di netto vantaggio sulle milizie ribelli, fosse tanto scemo da varcare, senza nessun ragionevole vantaggio strategico, quella “linea rossa” dell'uso di armi chimiche che Obama aveva aveva definito come punto oltre il quale gli Stati Uniti avrebbero usato la forza contro di lui.

Intanto, come scrissi all'epoca, le voci più sagge, dal Papa a diversi altri leader religiosi, dai rappresentanti della società civile a tanti premi Nobel, venivano confinate nella rubrica delle pie illusioni, delle buone intenzioni, mentre la stampa e gli altri mezzi di comunicazione si riempivano di “retroscena” di guerra (come se quelli veri – morte, malattie, fame, anni di rancori – non li conoscessimo già tutti). E si riempiono di comparsate dei soliti sedicenti esperti che mai, dicasi mai, ne hanno indovinata una in passato e che accusano di ingenuità quanti avevano denunciato, in anticipo, ciò che sarebbe accaduto. Compresi oltre un decennio di massacri in Iraq e in Afghanistan.

Come noto, comunque, l'intervento armato in Siria di americani e loro alleati non ci fu , grazie anche a forti pressioni della parte più sensibile dell'opinione pubblica internazionale e alle scelte di alcuni Parlamenti, come quello britannico, che si opposero alle richieste dei loro Governi. Per quanto riguarda l'Italia, quella volta il Parlamento non se ne occupò proprio. Ci furono, per la verità, un paio di interrogazioni al Governo dell'allora presidente del Consiglio Enrico Letta e del ministro degli Esteri Emma Bonino (una che non ha mai, dicasi mai, condannato una guerra occidentale contro Paesi del sud del mondo). Quella volta , l'Italia si trincerò, comunque, dietro il principio dell'unanimità europea (quella della quale in Iraq e in Afghanistan non tenemmo alcun conto).

All'Inizio di settembre, dopo settimane di tensioni, ci fu quella svolta che era sembrata mancare al termine del vertice del g8 a San Pietroburgo, al cui presidente di turno, il russo Vladimir Putin, aveva scritto Papa Francesco per chiedere ai “grandi del mondo” di non tralasciare alcuno sforzo per la pace. Il vertice si concluse senza decisioni in merito, ma già il giorno dopo Stati Uniti e Russia trovarono un’intesa basata sulla disponibilità del Governo di Damasco a consegnare il proprio arsenale chimico. Da allora è in atto in Siria una missione congiunta dell’Onu e dell’Organizzazione per la prevenzione delle armi chimiche, che procede con qualche ritardo rispetto ai tempo previsti perché ostacolata, soprattutto, dall'offensiva che i ribelli stanno tentando su Latakia, il porto dove vengono imbarcati gli agenti chimici destinati alla distruzione fuori dalla Siria.

Sette mesi dopo, sta suscitando scalpore e polemiche soprattutto in Turchia, ma anche negli Stati Uniti e in altri Paesi occidentali, un'inchiesta su quell'attacco chimico pubblicata da una delle firme più prestigiose del giornalismo mondiale, lo statunitense Seymour Hersh, che ha insegnato a molti a non cadere nelle tentazioni dell'informazione schierata “patriotticamente”, cioè di fatto propaganda (nel 1970 ebbe il premio Pulitzer per un reportage sul massacro di My Lai in Vietnam nel 1968 da parte delle truppe statunitensi, il che, per icisti difetti, ma non quello della scarsa libertà di stampa). Dall'inchiesta di Hersh pubblicata sull’ultimo numero della «London Review of Books» , ripresa con enfasi dalla stampa turca e non solo, emerge che furono i ribelli siriani, con l’aiuto e l’addestramento del Governo di Ankara La ricostruzione — che ha fatto scattare le smentite di Ankara e Washington — si basa in particolare sulle rivelazioni di un agente segreto statunitense di cui Hersh protegge l’identità. Si sarebbe trattato, cioè, di una trappola predisposta dai servizi segreti turchi allo scopo di provocare un intervento armato occidentale, in particolare degli Stati Uniti. Sempre secondo Hersh, a far cambiare idea a Obama, che in molti avevamo temuto in via di trasformarsi in un Bush qualsiasi, fu un rapporto di intelligence, peraltro mai diffuso, che rivelava tale mistificazione.

Non è la prima volta che il Governo turco viene accusato di iniziative per giustificare attacchi militari. A fine marzo ha suscitato violente polemiche in Turchia l’uscita su YouTube della registrazione di una riunione segreta di dirigenti turchi su un possibile intervento armato in Siria. Vi si sente il il capo dei servizi segreti Hakan Fidan, dirsi pronto a mandare i suoi uomini in Siria a lanciare missili verso il territorio turco per giustificare un attacco.

Del resto, di bugie per fare fare la guerra, che come dice Papa Francesco serve di fatto solo a vendere le armi, se ne raccontano da sempre. Persino Hitler, per giustificare l'invasione della Polonia, vestì un po' di detenuti con uniformi polacche e li fece ammazzare in territorio tedesco, gridando di aver subito un'aggressione.