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Risposte di civiltà alla sfida del terrorismo

Risposte di civiltà alla sfida del terrorismo - Pierluigi Natalia

 

Le ferite

e le scelte

 

11 gennaio 2015

È una risposta di civiltà la manifestazione contro il terrorismo che oggi ha visto sfilare a Parigi oltre tre milioni persone, cittadini e rappresentanti della Francia ferita insieme a quelli di altri Paesi del mondo, compresi alcuni islamici. Ma soprattutto dell'Europa. Di quell'Europa che inerme e imbelle – nel significato letterale di senza guerra e senza armi – vuole essere per scelta convinta, non certo nell'accezione dispregiativa che in tanti danno a quei termini. Quell'Europa che dopo due millenni di conflitti, culminati nelle stragi delle guerre mondiale del ventesimo secolo, ha costruito la pace sui valori di multiculturalismo, di dialogo interreligioso, di tutela dei diritti dell'uomo.

La manifestazione è stata convocato con l'intento dichiarato di dire no al terrorismo e rendere omaggio alle vittime: i dodici morti della strage perpetrata mercoledì dai due fratelli francesi d’origine algerina, Said e Cherif Kouachi, e le quattro persone uccise ieri, in un negozio di cibo kosher, da parte di un altro terrorista, il francese di origine maliana Amedy Coulibaly. L’uomo, di cui sembra accertata la complicità con i fratelli Kouachi, era stato autore anche dell'uccisione, giovedì alla periferia della capitale, della giovane poliziotta Clarissa Jean-Philippe. I tre terroristi sono stati uccisi venerdì negli interventi della polizia in una tipografia di Dammartin-en-Goële — dove i due fratelli si erano asserragliati ieri mattina dopo una fuga di due giorni — e appunto nel negozio kosher nella zona di Port de Vincennes, alla periferia di Parigi, dove aveva fatto irruzione Coulibaly.

Qualcuno a parlato di fine di un incubo. Ma non era un improbabile sollievo il segno caratterizzante dell'oceano di popolo che si è riversato nelle stragi di Parigi. Al di là della retorica più o meno convinta di tante dichiarazioni ufficiali, il significato della manifestazione è andato anche oltre i suoi scopi dichiarati. In piazza è scesa la partecipazione democratica. Le ferite hanno scelto di curarsi con le armi pacifiche della civiltà. «La tristezza del lutto e la convinzione che abbiamo qualcosa da difendere insieme, unisce i francesi», ha scritto l’arcivescovo di Parigi, cardinale André Vingt-Trois, in un messaggio letto oggi in tutte le chiese della diocesi. «La maggioranza dei nostri concittadini ha vissuto questa situazione come un appello a riscoprire un certo numero di valori fondamentali della nostra Repubblica, come la libertà di religione o la libertà d’opinione. Le manifestazioni spontanee di questi ultimi giorni sono state contraddistinte da un grande raccoglimento, senza segni di odio né di violenza», scrive ancora il cardinale, secondo il quale il fatto «che uomini nati nel nostro Paese, nostri concittadini possano pensare che la sola risposta giusta ad uno sbeffeggiamento o a un insulto sia la morte dei loro autori, pone la nostra società davanti a gravi interrogativi». Il fatto, poi, «che gli ebrei francesi paghino ancora una volta un tributo agli sconvolgimenti che agitano la nostra comunità nazionale, raddoppia la loro gravità». Il messaggio si conclude con l’invito alla preghiera per le vittime e per il Paese. «Nessuno si lasci andare al panico o all’odio; nessuno si lasci andare alla semplificazione di identificare qualche fanatico con una religione intera. E preghiamo anche per i terroristi, perché scoprano la verità del giudizio di Dio».

Né certo la Francia e l'Europa sono gli unici luoghi dove si fa pressante l’esigenza di scongiurare reazioni che avallino una deriva verso l’idea di una guerra di religione o di civiltà. Le notizie sulle spaventose dimensioni delle ultime stragi perpetrate da Boko Haram in Nigeria, anche attraverso attentatrici suicide bambine o poco più, l’emozione suscitata in tutto il mondo da quanto accaduto a Parigi, ma anche le barbare uccisioni in Iraq, in Siria, fino all’ultima dei due giornalisti tunisini in Libia, confermano un’accentuazione della violenza terroristica che interpella l’intera comunità internazionale.

Accanto alle doverose misure di sicurezza da adottare per proteggere le popolazioni dalla ferocia di gruppi e individui che dichiarano di agire in nome dell’islam — e che massacrano soprattutto musulmani — bisogna sostenere proprio quelle scelte di civiltà che ispirano la manifestazione di Parigi. Non a caso, il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, aprendo giovedì scorso la prima riunione dell’anno dell’Assemblea generale, ha lanciato un nuovo appello al dialogo, come unico strumento per costruire una condizione internazionale di giustizia e di solidarietà in cui non trovi alimento e alibi la ferocia terroristica. «In troppi posti abbiamo visto atti di terrorismo, estremismo, e di enorme brutalità», ha detto Ban Ki-moon, facendo riferimento, in particolare, alle terribili immagini dell’attacco al giornale satirico francese «Charlie Hebdo», tra cui quella della spietata esecuzione del poliziotto Ahmed Merabet. «Era un musulmano, e rappresenta un altro promemoria di ciò che ci troviamo a fronteggiare», ha precisato il Segretario dell’Onu, ribadendo la necessità di «trovare un modo per vivere insieme in pace, in armonia, e nel rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali».