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Crescente tensione tra Mogadiscio e Nairobi

Crescente tensione tra Mogadiscio e Nairobi - Pierluigi Natalia

  

Minaccia

  

di riesplodere

  

il conflitto somalo

  

  

6 agosto 2013

La situazione a Chisimaio minaccia di riaccendere il conflitto in Somalia con ripercussioni preoccupanti per l’intero Corno d’Africa. In un vertice tenuto nei giorni scorsi in  Uganda, capi  di Stato dei Paesi dell’area hanno  affermato che  il controllo di Chisimaio, principale città meridionale somala e secondo porto del Paese, deve ritornare alle autorità di Mogadiscio. Chisimaio,  che per anni era stata la principale roccaforte dei ribelli  radicali islamici di al Shabaab, alla fine dell’anno scorso è diventata campo di battaglia tra  le milizie armate della regione. Più che a queste ultime, però, il monito dei leader africani    sembra rivolto al Kenya,  le cui truppe controllano Chisimaio  e sostengono la milizia Ras Kamboni  guidata da  Ahmed Mohamed Islam, meglio conosciuto come Ahmed Madobe, contro quella del colonnello Bare Adam Shire, a sua volta meglio noto come   Barre Hirale, un altro dei tanti “signori della guerra” che da decenni spadroneggiano in Somalia.  I  protagonisti dello scontro si erano entrambi proclamati in maggio governatori del Jubaland, la regione di Chisimaio, prospettando un’ennesima situazione di semiautonomia che renderebbe ancora più incerto il processo di pacificazione somala sostenuto dalla comunità internazionale.
A metà luglio, il Governo di Nairobi si è rifiutato di ritirare i propri militari dal sud della Somalia, come richiesto da quello  di Mogadiscio, che ne voleva la sostituzione con altre truppe  nell’ambito dell’Amisom, la missione dispiegata dall’unione africana in Somalia. Nairobi ha risposto che il controllo  del confine  riguarda la sicurezza nazionale del Kenya. Del resto, le truppe kenyote erano state incorporate nell’Amisom solo in un secondo momento, dopo essere entrate in Somalia due anni fa per una propria operazione autonoma dal dichiarato intento di mettere in sicurezza il confine. Era stato appunto  l’intervento di tali truppe, appoggiate da marina e aviazione da guerra, a obbligare le milizie di al Shabaab a ritirarsi da Chisimaio.  Nonostante il ritiro, le milizie di al Shabaab, frettolosamente considerate sconfitte da fonti ufficiali somale e internazionali,  hanno però conservato intatta la  capacità di colpire tanto con azioni di guerriglia quanto con attentati. Questo vale soprattutto  in territorio somalo, come dimostrano gli avvenimenti delle ultime settimane, compreso l’attacco a un complesso dell’Onu nei pressi dell’aeroporto di Mogadiscio, cioè in una delle aree teoricamente più protette della Somalia. Ma vale anche  oltre confine, in particolare proprio in Kenya, dove  si trovano centinaia di migliaia di  rifugiati somali, 430.000 nel solo complesso di Dadaab. Anche con questo si spiegano le mosse del Governo di Nairobi.
Tre settimane fa, nella capitale del Kenya ha condotto una missione Antonio Guterres, il responsabile dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati. Nei colloqui con i governanti  kenyoti è stato definito un impegno per il rimpatrio  di almeno sessantamila profughi somali entro l’anno. In maggioranza si tratta proprio di persone provenienti dal Jubaland e dal sud della Somalia in genere. Controllare l’area di confine e Chisimaio significa quindi per il Governo di Nairobi controllare la gestione dei rimpatri e, in prospettiva, ottenere la messa in sicurezza del confine da penetrazioni destabilizzanti, come appunto quelle dei militanti di al Shabaab.
Di contro, il contrasto tra le autorità kenyote e quelle di Mogadiscio minaccia di vanificare la tenuta del processo di pacificazione somala che in molti avevano ritenuto positivamente avviato  con la fine, un anno fa, della transizione sostenuta dalla comunità internazionale.
Sullo sfondo, tra l’altro, restano  i nodi irrisolti dei  rapporti tra il Governo centrale di Mogadiscio  e le regioni da tempo proclamatesi autonome  del Puntland,  del Somaliland e  del Galmudug. Se dovesse aggiungervisi il Jubaland, il controllo del Governo centrale sul Paese finirebbe per essere messo definitivamente in discussione.

 

Sullo sfondo, tra l'altro, restano i nodi irrisolti dei rapporti tra il Governo centrale di Mogadiscio e le regioni da tempo proclamatesi autonome del Puntland, del Somaliland e del Galmudug. La questione è rilevante anche sul piano economico. Sui temi della ricostruzione e dei finanziamenti tutti gli attori internazionali hanno ribadito negli ultimi mesi consenso e impegni, almeno in linea di principio, ma anche sotto questo aspetto ci sono interessi interni e esteri difficili da conciliare. Per esempio, da tempo sono stati scoperti importanti giacimenti petroliferi sottomarini al largo delle coste del Puntland, o meglio ne è stata confermata la presenza. La  britannica Beyond Petroleum si accinge a sfruttarli  grazie ad accordi con le autorità locali, che di fatto escludono vantaggi per il Governo di Mogadiscio.  

La gestione dell'industria petrolifera, come pure la riscossione delle tasse e dei proventi dei commerci e dei traffici portuali è affidata al Joint Financial Management Board, organismo composto da rappresentanti somali, ma soprattutto di Francia, Gran Bretagna, Unione europea, Banca Mondiale. Il bord è formalmente incaricato di aumentare la trasparenza e di rafforzare le istituzioni pubbliche nella gestione finanziaria. Ma diversi osservatori hanno dubbi sulle disinteressate intenzioni dei membri di tale organismo. Al tempo stesso, l’assenza vistosa nel bord di attori non tradizionali in Somalia, quale la Turchia, che ultimamente hanno contribuito significativamente alla ricostruzione di Mogadiscio e avviato programmi di sviluppo nelle regioni sottratte al controllo di al Shabaab, lasciano intravedere i contrasti e le forze che si agitano dietro le quinte. A conferma che il disastro somalo, in definitiva, potrebbe trasformarsi in un vero e proprio eldorado per chi riuscirà ad assicurarsi un posto in prima fila nella ricostruzione post-bellica. E certo il Kenya è tra quanti non intendono stare a guardare.