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Il licenziamento dei giornalisti del Messaggero di Sant'Antonio

Se si cede

a Mammona

Nell'apprendere alla vigilia dell'Immacolata la notizia, improvvisa, del licenziamento dell'intera redazione del Messaggero di Sant'Antonio, la storica ultracentenaria rivista edita dai frati francescani minori conventuali che gestiscono la basilica del Santo a Padova (ripeto: gestiscono, non posseggono, perché è della Santa Sede), ho passato una brutta nottata. Una notte in cui l'ira e il dolore hanno prevalso a lungo sulla necessità di mantenere la mente serena nella valutazione dell'accaduto. Se questa serenità ho ottenuto non so, ma certo sento una forte amarezza accompagnata da un senso di scoramento per il comportamento di questa porzione della Chiesa, la mia Chiesa. Conosco quei colleghi licenziati - due di loro, senza far nomi, annovero tra le persone più care della mia vita – e ne conosco, prima ancora del valore professionale, quello umano. E proprio questo valore è stato calpestato da chi dovrebbe rappresentare appunto la Chiesa, che si definisce maestra in umanità.

Sono da tempo un pensionato, la mia è la parola di un singolo individuo, senza autorità alcuna e, forse, con appena quel poco di auterevolezza che la mia storia professionale continua a garantirmi. Ma da quella storia una lezione ho imparato, quella dell'indispensabile ruolo del laicato nella costruzione della Chiesa, nel più grande e nel più necessario dei cantieri della pace. Una lezione che mi accompagnato nella riflessione su questo episodo, senza precedenti nella storia del giornalismo italiano.

Su due punti, con ancora forte dolore anche se con l'ira ormai deposta, si incentra questa mia riflessione. Il primo è che se le strutture della Chiesa cedono alla logica di quest'epoca dominata e corrotta da una finanzia predatoria, scelgono di servire Mammona e non Dio. Alcuni, con il linguaggio cattivo e rabbioso che imperversa sui cosiddetti social, hanno colto questa occasione per parlare di “corruzione”. Questa accusa va respinta senza tentennamenti. Come ho scritto, sono pieno di dolore, di amarezza e di sconcerto. Ma definire la Chiesa corrotta è un'affermazione che non posso accettare.

Eppure ci sono altri modi per cedere alla tentazione di Mammona, anche senza essere avidi o peggio corrotti. E quanto è accaduto a Padova resta un episodio grave, frutto di debolezza e forse di superficialità, certo di mancata attenzione ai principi e alle indicazioni della Dottrina Sociale della Chiesa, che da sempre è la carta nautica del mio navigare nella società. Una carta nutica sullla quale ogni laico cattolico ha il diritto e forse il dovere di valutare le rotte percorse dalle strutture ecclesiali. Sanare i bilanci togliendo il lavoro a qualcuno significa considerare il denaro più importante della persona umana, della quale Dio ha voluto assumere la natura. Significa dare al denaro l'ultima parola, considerarlo non un mezzo più o meno utile, ma la pietra di paragone delle scelte di vita.

E, per inciso, significa nel caso specifico disconoscere la lezione di Francesco d'Assisi, dell'Alter Christus. Si vende ogni bene personale dei frati, si vende il tesoro del Santo, prima di lasciare qualcuno senza lavoro, senza la dignità umana che il lavoro dà e rappresenta. Significa essere uomini deboli, come quel servo pavido del quale parla il Vangelo, quello che non sa e non vuole, per paura e per mancanza di fiducia nell'aiuto del Signore, far fruttare i talenti che gli sono stati affidati. E credetemi: quei colleghi dei quali parlo di talenti ne hanno a profusione.

E questo mi porta al secondo punto della mia riflessione, quello più specificamente relativo alla professione che ho esercitato per oltre quarant'anni, trenta dei quali proprio negli organi di stampa della Santa Sede. Papa Francesco, in ogni suo intervento, disegna una Chiesa chiamata ad essere forza viva nel mondo, lievito della comunità umana, argine contro l'egoismo e la ferocia che si fanno largo nelle nostre comunità. E poi i frati della più letta testata cattolica del mondo, decidono di privarla – per questione di soldi – di un patrimonio di capacità e di abnegazione indispensabile per seguire quella strada indicata dal Papa. E hanno anche l'arroganza di dire che la rivista continuerà a uscire, magari grazie a un server esterno a basso costo. L'importante è la devozione. E per quella può bastare qualcosa che non sia un giornale, può bastare un bollettino, un foglio qualunque scritto gratis da un qualche frate, magari un'immaginetta di Sant'Antonio.Tanto è “cosa loro”, con il più becero e antistorico clericalismo. Tanto i pellegrinaggi – e le donazioni – al Santo continueranno comunque. E se appena uscito dalla basilica qualche pellegrino ignorerà e peggio disprezzerà il povero, l'immigrato, il diverso, pazienza. Accade anche a Roma e nelle altre basiliche pontificie. Ad Assisi, la città del poverello, da anni è in vigore un'ordinanza comunale che vieta di chiedere l'elemosina. Ma si: alle centinaia di migliaia di abbonati, che significa miolini di lettori, del Messaggero di Sant'Antonio basteranno processioni e qualche omelia.

Del resto nell'editrice lavorano un sacco di frati – tutti nei posti decisionali - che nessuno pensa a licenziare, tanto non costano come quei professionisti laici, otto in tutto, che in questi anni hanno prodotto un'informazione qualificata e approfondita sul piano sociale, hanno fatto davvero evangelizzazione su quello ecclesiale. Lo hanno fatto con la loro penna, ora continuano a farlo con la loro mobilitazione. Sempre con intelligenza e cuore, sempre e ancora oggi senza quel rancore, quell'incattivimento che pure ci si potrebbe aspettare.

Ma la stampa cattolica serve a far pensare, non a far chinare la testa di fronte all'ingiustizia. E se chiude – o si rinchiude in se stessa e si mistifica – sono tempi allegri per Mammona. Un po' meno per quel Dio del quale ricordiamo in questo tempo dell'anno l'incarnazione. Ma tanto ci è abituato. A Natale soprattutto, con un consumismo sempre più debordante, con improbabili elfi o pancioni su slitte trainate da renne volanti.

E allora, se altro non può fare, il direttore di Sosta & Ripresa chiede ai suoi lettori un momento di sosta in preghiera per quegli otto uomini e donne e per le loro famiglie e di riprendere poi la propria vicenda quotidiana portando dentro un po' d'amore per loro.