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La Giornata mondiale della pace 2019

La Giornata mondiale della pace 2019 - Pierluigi Natalia

 Promemoria

 d'impegno politico

 e di onestà

 

1 gennaio 2019

 «La buona politica è al servizio della pace». Il tema scelto in questo 2019 per la Giornata mondiale della pace, celebrata da oltre mezzo secolo il primo giorno dell'anno, può assumere i connotati di una sfida, un'altra sfida di senso lanciata da Papa Francesco a un'epoca di cacofonico qualunquismo, reso pervasivo e imperante dallo strapotere di cosiddetti social. E sembrerebbe una sfida perdente contro quanti quegli strumenti sanno sfruttare per garantire successo alle proprie politiche – queste si cattive - fondate sulla ricerca di un nemico contro il quale indirizzare l'odio e la rabbia (e il termine è scelto appositamente: non ira, che è certo un peccato capitale, ma che appartiene comunque alla sfera umana, ma rabbia animale, malattia contagiosa di ferocia e delitti). Era accaduto con il tema scelto per la Giornata dello scorso anno, dedicata a migranti e rifugiati, uomini e donne in cerca di pace. Era accaduto e accade ogni volta che il magistero pontificio si pone in contrasto con quanti nel conflitto accrescono la propria ricchezza e il proprio potere. E in contrasto anche con una parte dei cattolici, che sarebbe illusorio credere minoritaria, i quali ascoltano il Papa solo quando è d'accordo con loro

Si: definire buona la politica oggi potrebbe sembrare una sfida e una provocazione. E invece è un promemoria. Un promemoria necessario , in un'epoca che dimentica costantemente – o meglio mistifica – avvenimenti vecchi di pochi giorni, figuriamoci un magistero plurisecolare, rinverdito e rinvigorito in oltre un cinquantennio di attuazione del Concilio Vaticano II. Perché, per inciso, anche le Giornare mondiali della pace, volute e istituite da Paolo VI, sono figlie del Concilio.

La politica, per citare un'espressione di quel grande Papa, è la più alta forma di carità. E colui che oggi è un suo successore, Papa Francesco, quell'espressione la cita spesso. Così come è perentorio nel denunciare la cattiva politica, nel bocciare senza se e senza ma le teorie e gli interventi volti a costruire muri, a far prevalere l’uno sull’altro, a rafforzare divisioni culturali e sociali, politiche.

Questo promemoria, o meglio questo richiamo all'impegno politico e all'onestà, morale e intellettuale prima ancora che circoscritta al non rubare, va alla radice del bene comune. La breve nota diffusa dalla Santa Sede all'annuncio del tema scelto dal Papa per la Giornata, lo evidenzia. Parla infatti di missione che non può prescindere dal salvaguardare il diritto e dall’incoraggiare il dialogo tra gli attori della società, tra le generazioni e tra le culture. E deve avere lo sguardo al tempo stesso sul passato, sul presente e sull'avvenire, interpretare la realtà quotidiana, assimilare la lezione della storia, guardare al «futuro della vita e del pianeta», pensare ai «più giovani e ai più piccoli», interrogarsi su come dare risposte alla loro «sete di compimento».

E mentre sottolinea come «la responsabilità politica appartenga a ogni cittadino» aggiunge che questo principio vale «in particolare per chi ha ricevuto il mandato di proteggere e governare». Chi quel mandato sollecita e ottiene deve agire per rafforzare la comunità e il rispetto tra i suoi attori. Deve costruire, come si è detto tante volte, ponti e non muri, bandire i pregiudizi, promuovere un dialogo di fraternità che garantisca fiducia. «Non c’è pace infatti senza fiducia reciproca. E la fiducia ha come prima condizione il rispetto della parola data», si legge ancora nel documento vaticano.

E questo significa anche evitare le false promesse, o peggio, quando si rivelano impossibili da mantenere, ostinarsi in decisioni che si ripercuotono negativamente sull'intera comunità e che schiacciono soprattutto i più poveri.

Fare politica significa servire, non servirsi.

«Conforme alla propria vocazione – scrive Paolo VI nelle Lettera apostolica "Octogesima adveniens" - il potere politico deve sapersi disimpegnare dagli interessi particolari per considerare attentamente la propria responsabilità nei riguardi del bene di tutti, superando anche i limiti nazionali. Prendere sul serio la politica nei suoi diversi livelli - locale, regionale, nazionale e mondiale - significa affermare il dovere dell’uomo, di ogni uomo, di riconoscere la realtà concreta e il valore della libertà di scelta che gli è offerta per cercare di realizzare insieme il bene della città, della nazione, dell’umanità».

La politica, dunque, non è cosa da bistrattare in ossequio a logori luoghi comuni, ma cosa da assumere come vocazione o almeno da richiedere impegno. Il Papa chiede ancora una volta, nel messaggio per questa Giornata, impegno politico e sociale. Ed è perentorio nel bocciare senza appello teorie, azioni, interventi pensati e realizzati solo per costruire steccati, per rafforzare divisioni culturali, sociali, politiche, per incattivire gli animi e per isupidire le menti. Già nell'Evangeli Gaudium Francesco aveva sollecitato ad un pensiero forte e soprattutto a pensare al plurale, oltre la ristrezza dell'io dominante, esclusivista e sterile. Quel pensiero, cioè, in grado di «un autentico dialogo che si orienti efficacemente a sanare le radici profonde e non l’apparenza dei mali del nostro mondo!».

Ma certo non è questa la politica oggi trionfante. Né il Papa lo ignora. Lo scorso ottobre, Francesco ha detto una cosa che ben poca stampa ha riportato, anche se – come può confermare ogni giornastista appena discreto – dava “l'opportunità di un titolo”. Secondo il Papa, «oggi sono di moda i populismi, che non hanno niente a che vedere con il “popolare“ : il popolare è la cultura del popolo, e la cultura del popolo si esprime nell’arte, si esprime nella festa: ogni popolo fa festa, a suo modo. Ma il populismo è il contrario: è la chiusura in un modello, “siamo chiusi, siamo noi soli”, e quando si è chiusi non si va avanti».

E quale risposta sono chiamati a dare i cattoli, o meglio quanti abbiano volontà e cuore per prendere davvero in considerazione il loro battesimo? Non è argomento da esaurire nello spazio necessariamente ristretto di un articolo giornalistico. Ma pure qualche accenno è necessario fare, se non altro per ricordare le lezioni di una storia che ha visto spesso il cattolicesimo isolato sul piano valoriale, certo a causa di spinte potenti che dei valori umani, soprattutto di quelli sociali, fanno strame, ma anche per pigrizia, per isolazionismo, persino per un radicalismo acritico incapace di porsi in dialogo.

La lezione del Concilio ha certo cambiato le cose, nelle strutture ecclesiali e nei singoli fedeli. Ma quella tentazione a chiudersi nel particolare, a concentrarsi sul culto, a ritenere il pubblico e la politica dimensioni estranee alla fede, continua ciclicamente a farsi largo.

Per stare alla sola Italia, ci sono voluti decenni perchè il contributo cattolico entrasse nella costruzione di un'identità nazionale. Decenni scanditi da due guerre mondiali con nel mezzo una dittatura che ha rappresentato il punto più basso dell'esperienza politica italiana. Non è intenzione di questo articolo ripercorre la “questione romana”. Tuttavia a un secolo e mezzo di distanza, alcune somiglianze appaiono evidenti. Nel novembre scorso si è ricordato – per la verità poco e con scarso rilievo – il centenario della morte di Giuseppe Toniolo. Era un cattolico come ce ne vorrebbero tanti anche oggi. Fu tra i primi a mettere in discussione l'idea dell'homo oeconomicus, cara a tanta dottrina ottecentesca, di matrice sia liberale sia marxista. Quell'idea nella quale ha tanta parte – e l'aveva già un secolo fa, pur senza l'arroganza di oggi – la deificazione idolatra del mercato. C'è da chiedersi, se di nuovo oggi il ritiro dei cattolici dalla politica non contribuisca al rititiro dalla vita italiana di quella che il Papa chiama politica buona, quella che consente alle persone, al cosiddetto Paese reale, di incontrare le istituzioni e dare loro un senso di servizio. Si: serve questa politica, servono anticorpi sani in questo tempo che Papa Francesco definisce della tristezza individualista.