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Il Papa sulla tomba di don Milani

Il Papa sulla tomba di don Milani - Pierluigi Natalia

  

 

Scarpe

 

da prete

 

 

 

 

Giugno 2017

 

Ci vogliono scarpe robuste per muoversi a Barbiana, questa piccola, povera terra di sassi affacciata sulla valle del Mugello, generosa solo di castagne, funghi e more nelle siepi di rovi. Ricca di una memoria e di una tomba, quelle di un prete, don Lorenzo Milani, che vi impresse con i suoi scarponi passi sapienti, tracciando strade di concreto servizio. Ricca di una testimonianza in gran parte non compresa in quegli anni dopo la metà del secolo scorso e ancora oggi denuncia viva di ingiustizie e miserie delle tante “barbiane” del mondo.

Di Papa Francesco, fin dalla sua elezione, colpirono proprio le scarpe, adatte alle strade difficili delle periferie del mondo e della storia più che ai pavimenti levigati delle cattedrali e dei palazzi. Scarpe per camminare sempre, indossate anche quest'oggi per recarsi a pregare presso la tomba dove attende la resurrezione non un agitatore sociale, come in molti dissero a lungo e qualcuno dice dice ancora, ma un prete cattolico che prendeva il Vangelo sul serio. E proprio quella tomba ne è una prova concreta: la prima cosa che fece don Lorenzo arrivato a Barbiana fu comprare il terreno in cui sarebbe stato sepolto, far capire a se stesso e alla gente che sarebbe rimasto sempre lì a fare il parroco con loro fino alla morte. E oltre. In quella tomba dove riposa vestito dei paramenti sacerdotali bianchi, senza più ai piedi quegli scarponi, conservati nella piccola canonica, deposti al termine del suo laborioso cammino terreno. Perchè in Paradiso non vi sono più strade faticose e difficili.

Un centinaio di metri o poco più separa la chiesetta di Barbiana dal piccolo cimitero. A congiungerli oggi è una viuzza tracciata e voluta proprio da don Milani. Così come c'è il Sentiero della Costituzione: un “libro di strada” con 45 grandi pannelli che ti accompagnano fino alla scuola scandendo, a uno a uno, gli articoli della Costituzione, illustrati con i disegni dei ragazzi di diverse scuole italiane per rilanciare la costruzione di una società nuova e diversa, capace di dare pari diritti e dignità a tutti. E il Ponte di Luciano. Milani lo spiegava così: "Ho un bambino se voi lo vedeste piangereste tutti, uno scricciolino di 11 anni fa un'ora e mezza di strada, solo, per venire a scuola. Viene da lontanissimo col suo lanternino a petrolio per la notte. Avreste tutti paura a fare la strada che lui fa di notte con la neve". Luciano per arrivare a Barbiana doveva attraversare un ruscello e una volta che era in piena ci cascò. Quel Ponte è come il simbolo del passaggio dal mondo contadino a quello operaio di tanti ragazzi della scuola. E il sentiero che porta alla chiesetta, con sul muro la frase simbolo di Barbiana: “I care”, mi importa, mi riguarda, mi coinvolge. Scritta in inglese, quasi a prefigurare una mondialità di partecipazione solidale alla tutela dell'uomo, contrapposta a quel “me ne frego” che aveva segnato la pagina più oscura dell'Italia e che oggi si propopone a livello globale in politiche asservite a poteri depradatori e incuranti dei più deboli.

E forse, percorrendo oggi quei pochi metri, anche Papa Francesco avrà pensato che suona persino banale insistere sull'attualità religiosa e civile di don Milani. Dal suo tempo, ingiustizie e povertà non sono certo diminuite. Avrà pensato, il Papa, che la Barbiana povera di allora - così come apparve a don Lorenzo il 7 dicembre 1954 - si riflette nelle tante barbiane del nostro tempo, quelle che conosce e attraversa con le sue scarpe da prete tra la gente, con un magistero che è fatto prima di tutto di presenza e coinvolgimento. Perché sono barbiane anche le baraccopoli e i rifugi di fortuna delle vittime di ogni tipo di sfruttamento, le discariche umane dove si getta via la giustizia. Le barbiane dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina, quelle delle zone di guerra e del Mediterraneo, dove il mare inghiotte o getta sulle spiagge i corpi delle vittime della fame, della schiavitù e dell’ingiustizia globale. Quelle delle periferie straziate nelle metropoli opulente.

 

Barbiana non è un paese, non è nemmeno un villaggio. Barbiana è una chiesina con la canonica. Le case, poche decine in tutto, sono sparse nel bosco di castagni e quercioli e nei campi, isolate tra loro. Barbiana è una terrazza sulla valle del Mugello. Laggiù, da qualche parte, una volta Cimabue osservò Giotto disegnare una pecora su un lastrone di pietra e scoprì una nuova epifania dell'arte.

Barbiana è un'allegoria e un promemoria. Quassù, ogni volta e più ancora questa volta con il Papa, si riscopre l'epifania esigente e dolorosa delle priorità. Quassù risulta ancora più evidente che don Milani resterà sempre contemporaneo di ogni generazione anche per quello il fondamento del suo apostolato, e cioè la scuola. La “questione educativa”, come si dice, e cioè la formazione delle coscienze e l'attenzione a che non resti indietro nessuno perché se si perdono i più deboli.

Meno contemporaneo, probabilmente, ma certo non meno significativo è lo stle di quanti furono suoi allievi, determinato ma senza fragore, convinto ma senza iattanza. Salire a Barbiana, incontrarli in questa speciale occasione, è come ritrovarsi a tu per tu con la propria coscienza: spalle al muro. Senza esservi spinti da una forza arrogante. Perchè non è nel loro stile spintonare per conquistare la prima fila. Eppure è proprio questo loro atteggiamento a sbatterti in faccia che “sì, è davvero una vergogna essere stati contemporanei di don Lorenzo e don Primo – e non solo -e non aver imparato, non essersi convertiti ed essere rimasti quelli di sempre, se non peggio”.