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Il presidente mantiene le promesse all'Africa

Il presidente mantiene le promesse all'Africa - Pierluigi Natalia

  
I sassolini

  

di Obama

 

  

6 agosto 2014

Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, sta affrontando l'ultima parte del suo secondo e conclusivo mandato, mantenendo, almeno in parte, molte delle sue promesse e levandosi dalle scarpe qualche sassolino, in riferimento tanto all'opposizione politica del partito repubblicano, maggioritario al Congresso, che ha in gran parte ridotto la portata delle sue riforme, quanto alla finanza speculativa che ha causato la grande crisi, tuttora non superata, pagata dai lavoratori e dalle famiglie del Paese e di tutto il mondo.

Tra le promesse mantenute ci sono, in queste ore, quelle fatte all'Africa un anno fa durante il viaggio che lo portò in Senegal, Sud Africa e Tanzania. Obama ha infatti annunciato un piano di investimenti nel continente per un valore di 33 miliardi di dollari. L’annuncio è arrivato oggi, nel secondo giorno del summit che vede riuniti alla Casa Bianca i leader di una cinquantina di Stati africani e che si concluderà domani. L’incontro, il primo di questo tipo mai organizzato sulla sponda occidentale dell’Atlantico, è stato fortemente voluto da Obama, impegnato a rilanciare nel continente un’influenza statunitense che subisce da tempo la sfida di altri soggetti internazionali, a partire dalla Cina. «L’Africa affronta enormi sfide. C'e ancora tanta povertà, fame, malattie. Ma una nuova Africa sta crescendo. E gli Stati Uniti vogliono essere protagonisti del suo successo», ha detto Obama intervenendo al summit, sottolineando peraltro che «per investire in Africa servono pace e sicurezza. È difficile operare investimenti nel mezzo di guerre e conflitti».

Ciò nonostante, le iniziative presentate dal presidente statunitense superano le previsioni della vigilia. Sono confermati i 14 miliardi di dollari stanziati dalle grandi società statunitensi per investimenti nel settore edile e in quelli dell’energia pulita, dei servizi bancari e delle tecnologie. Altri 12 miliardi saranno stanziati nell’ambito dell’iniziativa Power Africa, che coinvolge tra gli altri partner del settore privato e Banca mondiale. A questi si aggiungono sette miliardi di dollari destinati dal Governo di Washington a promuovere ulteriormente le esportazioni e gli investimenti statunitensi. «Questi investimenti rafforzeranno l’impegno economico degli Stati Uniti in Africa, alimentando la crescita del continente e dei mercati emergenti per le nostre imprese, creando anche posti di lavoro negli Stati Uniti e in Africa», si legge in una nota diffusa dalla Casa Bianca.

Come ogni leader politico, a motivare Obama contribuisce in modo rilevante l'interesse del suo Paese. Non a caso, come detto, l'obiettivo della Casa Bianca è soprattutto rafforzare i legami economici degli Stati Uniti con una regione dove le prospettive di crescita sono superiori a quelle del resto del mondo (5,4 per cento nel 2014 e 5,8 per cento nel 2015, secondo le stime del Fondo monetario internazionale). «L’incontro è stato organizzato per costruire relazioni basate su interessi e rispetto reciproci», ha detto Susan Rice, consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca. Significativo, in questo senso, è l'elenco fatto da Obama delle aziende statunitensi coinvolte nel progetto: la Coca Cola (per l’energia pulita), la General Electric (per infrastrutture ed elettricità), la Marriot (per la costruzione di alberghi), ma anche Blackstone, Chevron, Citigroup, Ford, Lockheed Martin, Morgan Stanley e Wal-Mart.

 Nei fatti, si tratta di una risposta alle lamentele mosse da diversi settori economici – e soprattutto finanziari – del Paese. Non a caso, proprio alla vigilia del summit con gli africani, Obama aveva rilasciato un'intervista all'Economist nela quale non aveva usato mezze misure nel giudizio sui manager della finanza selvaggia. «Non avete il diritto di lamentarvi» per le regole con cui si cerca di evitare gli errori del passato, quelli che hanno portato alla più grave crisi del dopoguerra, ha affermato il presidente, tornando ad accusare chi frena la riforma del sistema finanziario statunitense, ancora incompiuta.

Non è la prima volta che Obama denuncia con toni forti le resistenze che impediscono di portare a termine la riforma di Wall Street — alcuni mesi fa in un’intervista definì i banchieri «fat cats (gatti grassi) — ma lo scontro si sta facendo sempre più duro. La risposta di alcuni dei leader più in vista della finanza statunitense non si è fatta attendere. Diversi nomi importanti di Wall Street hanno invitato il presidente Obama a pensare alle riforme che non è riuscito ancora a fare, da quella dell’immigrazione a quella fiscale, riforme che avrebbero portato alla creazione di milioni di posti di lavoro e rafforzato una ripresa economica definitiva del Paese. In merito, comunque, il presidente accusa a sua volta il Congresso, di bloccare tutte le riforme proposte dalla Casa Bianca.

In ogni caso, Obama ricorda che i manager delle aziende dovrebbero mostrare più responsabilità sociale, e ammonisce che se si guarda a quanto accaduto negli ultimi quattro o cinque anni, appare chiaro come a non potersi lamentare sono proprio loro. Il riferimento è anche ai tanto criticati superbonus che molti manager di Wall Street continuano a percepire nonostante quanto è successo negli ultimi anni. Secondo Obama — e non solo — proprio queste retribuzioni milionarie, tra paghe e liquidazioni, spingono ad assumere rischi all’interno di banche e società che mettono in pericolo l’intero sistema economico.

Allargando il discorso all’intero mondo produttivo, il presidente afferma che anche le lamentele delle aziende vanno considerate con misura. Nell’intervista, infatti, Obama sottolinea come le sue politiche in questi anni siano state in realtà sempre a favore delle imprese, per favorire il loro fondamentale ruolo ai fini della crescita economica e dell’occupazione.

In ogni caso, Obama non accetta lamentele sulla tentata stretta sulla finanza speculativa e respinge come prive di responsabilità sociale le critiche alla sua proposta di aumentare il salario minimo di milioni di lavoratori poveri. Né il presidente si cura più di tanto delle accuse mossegli da manager, imprenditori o gestori di fondi speculativi di fomentare il risentimento di classe. «State tranquilli — dice—. Sentitevi liberi di tenere le vostre case di lusso e i vostri jet privati. Io non mi preoccupo di come vivete». Quello che a Obama interessa è invece «fare in modo che ci sia un sistema, una società dove le persone ordinarie che lavorano duro possano andare avanti».