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L'intervista del Papa a Civiltà Cattolica

L'intervista del Papa  a Civiltà Cattolica - Pierluigi Natalia

   

Il cosa

  

e il come

  

  

19 settembre 2013

Cosa c'è di nuovo nell'intervista data da Papa Francesco a Civiltà Cattolica, la rivista dei gesuiti? Cosa c'è di diverso dall'insegnamento bimillenario della Chiesa? In realtà nulla, a parte qualche considerazione sul suo carattere, sulla sua esperienza e sulle sue preferenze in fatto di letteratura e di cinema (con lusinghieri riferimenti a quelli italiani che dovrebbero far piacere ai cittadini di questo Paese). A questo si può aggiungere la valutazione sul concetto di decisionismo, che alcuni gli chiedono e altri gli contestano. Ma sugli argomenti generali non c'è nulla di nuovo o di diverso. Le stesse cose la Chiesa le dice da sempre e dopo il Concilio Vaticano II con una particolare insistenza. Basta prendere a caso un testo di magistero pontificio, soprattutto in materia di dottrina sociale. E allora perché tanto clamore mediatico? Solo perché il Papa ha parlato, fra l'altro, di omosessuali e di divorziati? Il punto è che sono sbagliate, volutamente malposte, le due domande iniziali. Basta sostituire “come” a “cosa” e la risposta si fa necessariamente più articolata. Come si mostra nuovo, come si mostra diverso il Papa attuale in questa intervista e nelle diverse espressioni dei suoi primi mesi di pontificato?.

La prima risposta sta nella maternità della Chiesa alla quale il Papa fa riferimento. Quale madre darebbe un sasso al figlio che le chiede un pane o un serpe se le chiede un pesce? So benissimo che il Vangelo riferisce la frase a Dio Padre, ma in questo contesto si spiega meglio al femminile. Anche perché il Papa, nell'intervista, insiste sul ruolo femminile nella Chiesa, non come brutta copia del potere maschilista che troppo spesso la caratterizza nelle sue vicende concrete, ma come risposta d'attenzione alle «domande profonde che vanno affrontate» poste dalle donne. Del resto, nella visione evangelica non è il potere a contare, ma il sentire e il sapere. E di sentire e sapere femminili la Chiesa ha un grande bisogno. Così come ne ha di esaltarne la dignità e la funzione, ha sottolineato il Papa.

L'altro “come” al quale credo importante fare riferimento è la sintesi tra la scelta francescana e il discernimento proprio dei figli di Ignazio di Loyola (proprio discernimento è una delle parole chiave nell'intervista del gesuita Bergoglio al confratello Antonio Spataro). Con un'immagine efficace, Papa Francesco ricorda che la Chiesa non è un consesso medico nel quale si discetta di grassi o zuccheri nel sangue di un paziente, ma un ospedale da campo dove si curano ferite gravi. Non può limitarsi a diagnosi o a prescrizioni: deve curare, curare, curare. La Chiesa è madre e maestra, ma non madre snaturata e maestra arcigna. Non a caso, in riferimento ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi, il Papa dice che «una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza». In pratica non può ridursi a un disco rotto. Invece, «l'annuncio di tipo missionario si concentra sull'essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona di più, ciò che fa ardere il cuore».

Perché è sempre e soprattutto una questione di cuore. Del come del cuore. Quale madre di figlio o figlia omosessuale, anche pienamente convinta che la natura ci voglia maschi e femmine tra loro attratti e complementari, condannerà l'omosessualità più di quanto non ami suo figlio o sua figlia? Quale madre di divorziato, pur certa del valore sacramentale indissolubile del matrimonio, condannerà il divorzio più di quanto non ami suo figlio?

E del resto in quale madre di spacciatore di droga, di ladro o anche di ben più gravi criminali tipo politici corrotti o assassini, l'orrore per il delitto cancellerà l'amore per i figli? Sui padri forse non c'è da giurarci, ma le madri, almeno in generale, sono un esempio di quanto il Papa chiede ai ministri del Vangelo: «essere capaci di riscaldare il cuore delle persone, di camminare nella notte con loro di saper dialogare e anche di scendere nel buio della loro notte, nel loro buio senza perdersi»