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Accordo sulla falda nubiana

Accordo  sulla falda nubiana - Pierluigi Natalia


Africa

 

in cerca d'acqua

 

 

 

22 settembre 213

Ciad, Egitto, Libia e Sudan hanno raggiunto questa settimana a Vienna, con la mediazione dell’Onu, un accordo per la gestione comune della falda acquifera nubiana. Si tratta di un tesoro unico e  non rinnovabile, in grado di aiutare Paesi dove la disponibilità di forniture idriche non è mai scontata. L’intesa è parte di un programma di cooperazione sostenuto dal Programma dell’Onu per lo sviluppo. Il punto centrale riguarda la creazione di un’autorità congiunta per la falda acquifera nubiana, incaricata di favorirne in futuro uno sfruttamento sostenibile, equo e condiviso. La falda è la più grande al mondo tra quelle classificate come fossili, cioè non rinnovabili. Si stima che in uno strato di pietra arenaria nel sottosuolo di una delle regioni più aride dell’Africa, tra il Sudan nordoccidentale, l’Egitto, il Ciad nordorientale e la Libia sudorientale, siano custoditi 150.000 chilometri cubi di acqua.
Il sostegno internazionale all’accordo è rilevante anche nella prospettiva di una riapertura di altri e difficili negoziati sull’acqua, nei quali da decenni l’Africa cerca invano intese. L’esempio più evidente, che coinvolge come principali protagonisti per primo proprio l’Egitto e in subordine il Sudan, è quello del contrasto tra i Paesi del bacino del Nilo. Come noto, in materia  vigono tuttora gli accordi   stipulati nel 1929 tra l’Egitto e la Gran Bretagna,  che rappresentava allora le sue diverse colonie nel bacino del principale  fiume africano, poi rivisti nel 1956, all’epoca della costruzione della diga di Assuan.  Questi accordi, a vantaggio soprattutto dell’Egitto e in misura minore del Sudan, sono contestati da sempre  dagli altri Paesi del bacino. Da qui i tentativi, ormai pluridecennali, di stipulare nuove intese, per evitare che ogni Paese continui ad agire  unilateralmente,  provocando  crisi suscettibili di sfociare addirittura in conflitti armati, come si rischiò qualche anno fa  tra Egitto ed Etiopia. Finora, l’Egitto si è sempre opposto alla firma del  Nile River Cooperative Framework Agreement (accordo quadro di cooperazione del Nilo), ribadendo di voler mantenere i diritti su oltre 55 dei 100 miliardi di metri cubi d’acqua trasportati dal Nilo ogni anno.
Finora, la posizione predominante dell’Egitto e in misura minore del Sudan non è stata scalfita, ma un mutamento, seppur lento, della situazione sembra destinato  a profilarsi con la nascita di un nuovo attore nella gestione dell’acqua del Nilo, cioè il Sud Sudan diventato indipendente da due anni. Il nuovo Stato non arabo sembra destinato a rafforzare la richiesta degli altri Paesi del bacino — Burundi, Etiopia, Eritrea, Kenya, Repubblica Democratica del Congo, Rwanda,  Tanzania e Uganda — di arrivare finalmente a una ridefinizione delle quote.
Anche la Comunità economica dei Paesi dell’Africa occidentale (Ecowas) punta alla condivisione delle risorse idriche. Finora, però, sono lenti i passi sulla strada indicata l’anno scorso dalla  senegalese Anta Seck, responsabile dell’apposito programma  dell’Ecowas, secondo la quale  si va verso «una regione senza frontiere le cui popolazioni disporranno in comune delle enormi risorse d’acqua dell’Africa occidentale».