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La Chiesa e la crisi siriana

La Chiesa e la crisi siriana - Pierluigi Natalia

In cerca

  

di strade di pace

  

31 agosto


 

La Chiesa cattolica leva la sua voce contro ogni ipotesi di allargamento del conflitto siriano e cerca, ai suoi massimi livelli e in tutte le sue strutture e comunità, strade di pace e di dialogo. Questa mattina, Papa Francesco ha tenuto una speciale udienza per «valutare possibili linee» per promuovere la pace in Siria, come ha riferito il direttore della Sala stampa vaticana, il gesuita Federico Lombardi, specificando che all'incontro sono intervenuti i vertici della diplomazia vaticana, cioè, tra gli altri, il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato del quale proprio oggi è stato annunciato l'avvicendamento con l'attuale nunzio in Venezuela, l'arcivescovo Pietro Parolin, e il segretario per i rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Dominique Mamberti, confermato invece al suo posto. Il Papa ha voluto che fosse presente anche il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della congregazione per le Chiese Orientali, il dicastero vaticano più impegnato in quell'area del mondo dove la gran parte delle voci della società civile e delle comunità religiose Insistono sulla necessità di non ricorrere alle armi, ma agli strumenti della diplomazia e del dialogo. «Si è trattato — ha detto padre Lombardi — di discutere le possibili iniziative da parte della Santa Sede» per la composizione del conflitto per la cui cessazione il Papa ha già lanciato diversi appelli. L’ultimo era stato l'altro ieri, quando il Papa aveva ricevuto reali di Giordania, «sottolineando con loro che l’unica opzione è il dialogo». Forte attesa c'è per l'Angelus di domani in piazza San Pietro, quando secondo diverse fonti Papa Francesco annuncerà le iniziative della Chiesa in questo diffile momento.

Tra le voci cattoliche alzatesi in queste ultime ore, c'era stata ieri quella della Caritas Internationalis, con un comunicato del segretario generale Michel Roy per ricordare che «Il popolo siriano non ha bisogno di altro spargimento di sangue. Piuttosto ha bisogno di una fine veloce alle violenze e di una tregua immediata. Un ampliamento delle operazioni militari da parte di potenze straniere non farà altro che aggravare la guerra e aumentare le sofferenze». Dopo aver argomentato che solo «durante l’ultimo decennio siamo stati testimoni delle conseguenze tragiche dell’intervento militare in Iraq, Afghanistan e Libia», Roy afferma che la comunità internazionale «ha l’obbligo di porre fine alla sofferenza del popolo siriano» e che l’unica via percorribile è quella «di un dialogo di pace inclusivo». Il comunicato fa riferimento alla già più volte rinviata conferenza internazionale sulla Siria, la cosiddetta Ginevra 2, a suo tempo promossa congiuntamente da Stati Uniti e Russia, sostenendo che l'iniziativa andrebbe «rinvigorita, come primo passo verso un cessate il fuoco e un accordo di pace».

Sul piano politico e diplomatico, intanto, non si segnalano sostanziali mutamenti di posizione. Nel frattempo, si è appreso che per conoscere i risultati dell’indagine completata oggi dall’Onu in Siria sul presunto uso di armi chimiche, del quale i ribelli e il Governo del presidente Bashar Al Assad si accusano a vicenda, ci vorranno un paio di settimane. La previsione è stata comunicata dal Segretario generale dell'Onu stessa, Ban Ki-moon, agli ambasciatori dei cinque Paesi membri permamenti del Consiglio di sicurezza (Cina, Francia, Gran Bretagna, Russia e Stati Uniti). I tredici ispettori dell'Onu, guidati dallo svedese Åke Sellström, hanno lasciato questa mattina Damasco, come previsto dal loro programma, e i campioni da loro prelevati sul terreno sono stati inviati a diversi laboratori specializzati, soprattutto in Europa.

Al momento, peraltro, diversi Governi, a cominciare da quello degli Stati Uniti, non sembrano disposti a subordinare le loro decisioni ai risultati dell'indagine dell'Onu. In un rapporto dell'intelligence statunitensi reso noto ieri dal segretario di Stat, John Kerry, si afferma che è «elevata la certezza» e sono «molteplici le prove» del fatto che il 21 agosto scorso «il governo siriano condusse l’attacco con armi chimiche contro elementi dell’opposizione alla periferia di Damasco». Nel documento si indica -Assad come colui che «assunse la decisione definitiva» di procedere al massacro con armamenti proibiti dal diritto internazionale. Kerry, ha detto che il Governo di Washington considera la vicenda chiara in ogni particolare e che si conosce persino il numero preciso delle vittime, che sarebbero state 1.429, tra cui 426 bambini. Il presidente Barack Obana ha confermato ancora ieri di non aver preso ancora alcuna decisione, specificando che non intende lanciare nei confronti della Siria una guerra su vasta scala, ma affermando che il mondo «non può accettare» donne e bambini inermi «asfissiati con gas tossici». Secondo Obama, l’uso di armi chimiche in Siria è dunque «una sfida al mondo», oltre che «una minaccia ad alleati degli Stati Uniti come Israele, Turchia e Giordania e una minaccia agli interessi della sicurezza nazionale americana».

Di accuse insensate rivolte da Washington a Damasco ha parlato oggi il presidente russo, Vladimir Putin, invitando Obama a presentare le presunte prove all’Onu. Putin ha aggiunto che il vertice del g20, fissato per la prossima settimana a San Pietroburgo, può essere una piattaforma per discutere della crisi.

Da parte sua, l’Unione europea non ha finora cercato un approccio comune sull’esasperazione della crisi siriana. I Governi di Gran Bretagna e Francia si sono subito detti pronti a un intervento armato, mentre non ci sono state voci che lo abbiano escluso in assoluto, rimettendosi al Consiglio di sicurezza dell'Onu. A mutare la situazione è arrivato, giovedì 29, il voto della Camera dei Comuni di Londra che ha bocciato la proposta del primo ministro, David Cameron, di intervenire anche senza un mandato dell'Onu (ragionevolmente da escludere, dato il certo veto di Russia e probabilmente Cina). Questo sembrava destinato ad avere conseguenze anche sulle decisioni degli Stati Uniti, che vedono ora incrinato, almeno sul piano della collaborazione militare, l’asse con lo speciale alleato britannico, da un quarto di secolo a queste parte sempre a fianco di Washington in ogni intervento armato, a partire dall'invasione di Panama nel 1989.

Sul fatto che la comunità internazionale «non può tollerare l’uso di armi chimiche, deve considerarne responsabile il regime siriano e inviare un messaggio forte per denunciarne l’utilizzo», Obama ha invece ottenuto di nuovo il sostegno del presidente francese, François Hollande, in una telefonata fatta ieri sera e della quale ha dato notizia l'Eliseo. In precedenza, Hollande aveva sostenuto che il voto del Parlamento di Londra non cambia gli scenari e che la Francia è pronta a partecipare all'eventuale azione armata anche senza la Gran Bretagna. Hollande ne aveva persino prospettato l’avvio prima di mercoledì prossimo, quando è fissato il dibattito all’Assemblea nazionale francese, pur precisando che il suo Governo non si muoverà senza un’adeguata base giuridica che giustifichi l’intervento.

Il cancelliere tedesco, Angela Merkel, anch'ella in una telefonata con il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, si è detta d’accordo con lui sul fatto che l’uso di armi chimiche è una «seria violazione delle norme internazionali» e i due si sono impegnati a continuare a consultarsi sulle potenziali risposte. Merkel ha poi dichiarato di sperare che la Russia cambi atteggiamento all’Onu affinchè si arrivi a una posizione comune sulla Siria nel Consiglio di sicurezza. Il ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle, ha comunque chiarito che la Germania non parteciperà a nessuna azione militare:

Più articolata è la posizione del leader socialdemocratico tedesco, Peer Steinbrück, che sfiderà Merkel nelle elezioni di settembre.  Steinbrück  ha messo in guardia contro un intervento militare in Siria sostenendo che violenza tira violenza. «Meglio cento ore di negoziati che un minuto di fuoco», ha detto, citando una famosa frase del cancelliere socialdemocratico Helmut Schmidt. A tal fine Steinbrück ha proposto di nominare al prossimo G20 un gruppo di quattro negoziatori di alto livelloi: il Segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon, il presidente statunitense Obama, quello russo Vladimir Putin e un alto rappresentante della Lega araba. I quattro dovrebbero negoziare un cessate il fuoco di 72 ore per consentire aiuti umanitari e una visita degli ispettori dell'Onu. Inoltre dovrebbero adoperarsi per una nuova conferenza sulla Siria onde arrivare a una soluzione negoziata del conflitto.