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Obama e la crisi siriana

Obama e la crisi siriana - Pierluigi Natalia

 

Deriva

  

di guerra

  

29 agosto 2013


 

C'è in queste ore una sorta di sospensione della deriva di guerra nella quale in tanti sembrano decisi a farci precipitare ancora una volta, c'è quella sorta di tregua che offrel'occhio di un ciclone. Si allontana, infatti, ma non si cancella la prospettiva di un allargamento del conflitto siriano, con interventi armati internazionali dalle conseguenze che nessuno può presumere, con superficiale arroganza, di calcolare fino in fondo e che sarebbero comunque di certo inquietanti.

Le voci più sagge, dal Papa a diversi altri leader religiosi, dai rappresentanti della società civile a tanti premi Nobel, vengono già confinate nella rubrica delle pie illusioni, delle buone intenzioni, mentre la stampa e gli altri mezzi di comunicazione si riempiono di “retroscena” di guerra (come se quelli veri – morte, malattie, fame, anni di rancori – non li conoscessimo già tutti). Si riempiono di comparsate dei soliti sedicenti esperti che mai, dicasi mai, ne hanno indovinata una in passato e che accusano di ingenuità quanti hanno denunciato, in anticipo, ciò che sarebbe accaduto.

Adesso si attenderà, per qualche giorno, il rapporto degli ispettori dell'Onu sul presunto uso di armi chimiche in Siria del quale i ribelli e il Governo si rimpallano la responsabilità. Ma sembra una specie d'atto dovuto, dopo che in tanti – e di quelli che contano - hanno già detto che bisogna punire il “criminale” Bashar al Assad, con o senza l'avallo dell'Onu. Alla fine deciderà Obama, anche se già gonfiano i muscoli il conservatore britannico David Cameron e il socialista francese François Hollande (al quale deve essere avanzata qualche bomba dopo quelle sganciate su libici e maliani, dato che si dice pronto a fornire armi ai ribelli siriani). Persino Angela Merkel, impegnata in campagna elettorale, parla di punizioni per chi ha usato armi chimiche, ovviamente se è stato Assad, dato che del modo di punire un gruppo ribelle eventualmente responsabile non parla nessuno. Alla fine sarà Obama decidere se ascoltare i tanti che nel Medio Oriente, dall'Arabia Saudita, al Qatar, alla Turchia premono affinché non si consenta di vincere la guerra civile siriana all'odiato Assad, amico degli altrettanto odiati sciiti iraniani. E molte fonti diplomatiche attribuiscono proprio alle pressioni di Arabia Saudita e Qatar, con l'Egitto in questo momento fuori gioco per le sue vicende interne, la presa di posizione della Lega araba che a sua volta ha dichiarato di ritenere colpevole il Governo siriano e ha invitato l'Onu ad agire di conseguenza.

E forse sarà coinvolta anche l'Italia, che tra l'altro ha truppe in Libano, sebbene almeno per una volta il Governo di Roma abbia detto che senza mandato dell'Onu non si può intervenire, con una notevole sterzata sulle guerre nelle quali hanno allegramente coinvolto il Paese l'ex comunista D'Alema nel 1998 in Kosovo e il non si sa bene cosa Berlusconi (all'epoca molto “volenteroso” nel compiacere George W. Bush) in Iraq nel 2003.

Alla fine sarà Obama, insignito del Nobel per la pace “sulla fiducia”, prima ancora di incominciare a governare cercando di attuare le promesse che avevano scaldato il cuore di tanti, se segnare il suo secondo mandato con il rischio di aprile un'altra guerra decennale. Per ora ha detto di non ritenere i ribelli siriani in possesso di armi chimiche e quindi di sospettare il Governo di Damasco. Secondo Obama. Per ora ha detto che un eventuale attacco «mirato e limitato» sarebbe sufficiente per inviare un monito ad Assad e che gli Stati Uniti non vogliono né intervenire nella guerra civile né rovesciare il regime di Damasco. Al rapporto degli ispettori dell'Onu gli Stati Uniti si preparano ad affiancare un dossier con presunte prove di colpevolezza del Governo siriano, che diverse fonti definiscono cospicuo, ma incompleto e comunque senza componenti determinanti. E in assenza di prove certe è difficile escludere la possibilità di una manipolazione mediatica riguardo alle immagini diffuse dai ribelli siriani sui social network. Tanto più che sembra arduo spiegare perché il Governo di Damasco, proprio mentre l’esercito sta conseguendo contro i ribelli successi decisivi, abbia varcato quella “linea rossa” dell’uso di armi chimiche sulla quale era stato più volte messo in guardia.

E probabilmente Obama sta riflettendo proprio su questo prima di fare una scelta sulla quale consigliano prudenza i precedenti storici, dato che per giustificare l’attacco anglo-statunitense all’Iraq nel 2003 gli Stati Uniti di Bush e la Gran Bretagna di Tony Blair mentirono anche in sede Onu, presentando presunte prove poi rivelatesi false relative proprio ad armi chimiche. Alla fine sarà Obama a dover decidere se rischiare di rivelarsi un presidente del tipo di un Bush qualsiasi e lasciare al mondo come eredità del suo mandato un'altra guerra.