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La condanna di Tylor e la fine dell'embargo per lo Zimbabwe

La condanna di Tylor e la fine dell'embargo per lo Zimbabwe - Pierluigi Natalia

 

 

Diamanti

  

e tragedie africane

  

26 settembre 2013

Per una delle curiose coincidenze della cronaca, oggi  sono state annunciate in Europa due decisioni, all’apparenza senza punti di contatto, ma entrambe esempi di  come all’origine di tante tragedie africane ci siano gli appetiti suscitati dalle immense risorse minerarie del continente. Nelle stesse ore in cui l’Unione europea decideva a Bruxelles la revoca dell’embargo sui diamanti dello Zimbabwe, veniva confermata in appello la condanna a cinquant’anni di carcere per l’ex presidente liberiano, Charles Taylor, da parte della  Special Court for Sierra Leone (Scsl), uno dei tribunali ad hoc insediati dall’Onu prima del varo della Corte penale internazionale (Cpi), il tribunale permanente per i  crimini di genocidio,  di guerra e  contro l’umanità. La sentenza è stata comunicata  all’Aja,  dove per motivi di sicurezza, proprio dopo l’arresto di Taylor, la Scsl  era  stata trasferita dalla precedente sede nella capitale sierraleonese Freetown.
Il punto di contatto tra i due fatti, pur con le debite differenze, sta proprio nei diamanti. L’embargo tolto a quelli dello Zimbabwe era una delle ultime sanzioni inflitte nel 2001 dall’Unione europea, soprattutto per pressioni della Gran Bretagna, ex potenza  coloniale, dopo la decisione di vietare agli stranieri di avere proprietà nel Paese presa a suo tempo del presidente Robert Mugabe, confermato   nelle elezioni dello scorso luglio. La svolta  europea segue la certificazione  del cosiddetto Kimberley Process, l’intesa  per  garantire che i profitti  del commercio di diamanti non vengano usati per finanziare le guerre civili.    Il Belgio, centro mondiale del commercio di diamanti, chiedeva da anni la revoca dell’embargo, alla quale si era finora sempre opposta la Gran Bretagna.
Diverso è il caso della Sierra Leone, dove c’è stato il   primo dei conflitti che hanno insanguinato negli anni Novanta l’Africa occidentale, connesso strettamente, come quello successivo e parallelo in Liberia, al commercio illegale dei diamanti, oltre che del legname  e dell’oro. Tali ricchezze dei  due Paesi hanno garantito ingenti entrate nelle casse di tutti gli attori coinvolti nelle due guerre civili.
Iniziati a poco tempo di distanza l’uno dall’altro, i conflitti  in Sierra Leone e in Liberia devono il loro scoppio e la loro continuazione prima di tutto a Charles Taylor, ex “signore della guerra” e poi presidente della Liberia,  che fu forse  il più capace e il più criminalmente determinato a sfruttare a proprio vantaggio le enormi possibilità che i traffici illegali di materie prime potevano fornire, grazie soprattutto al contemporaneo commercio delle armi, con le  maggiori potenze in funzione di principali fornitori.
Quello di Taylor è il caso più eclatante, ma non è certo l’unico. Tutte le fazioni che hanno preso parte, dal 1990 in poi, ai conflitti dell’Africa Occidentale hanno utilizzato gli stessi mezzi per trovare finanziamenti con cui acquistare armi e continuare la guerra, in una rete di appoggi ed alleanze incrociati che andava oltre le frontiere di Sierra Leone e Liberia, coinvolgendo Guinea e Costa d’Avorio e, in qualche modo, la Nigeria, per anni a capo di una forza militare multinazionale che ha spesso seguito le stesse logiche di spoliazione e saccheggio proprie dei ribelli e delle forze governative.
Fin dall’inizio della guerra, nel 1991, Taylor aveva mirato a porre sotto il proprio controllo parte del territorio  sierraleonese, per creare una rete commerciale organizzata e florida, affidando a propri familiari il controllo  della vendita di diamanti, legname e oro. Sempre in cerca di nuove fonti di approvvigionamento, Taylor sostenne la nascita e  l’operato del Revolutionary United Front (Ruf),  comandato da Foday Sankoh, che scatenò  in Sierra Leone una  guerra civile  tristemente famosa per l’uso indiscriminato di bambini soldato e per le mutilazioni e torture inflitte per anni alle  popolazioni. Primo obiettivo del Ruf era proprio  impossessarsi delle ricche miniere di diamanti della Sierra Leone, per comprare le armi dall’amico Taylor e avere soldi in abbondanza per continuare la guerra.
Dopo l’elezione di Taylor a presidente, nel 1997 la situazione degenerò anche in Liberia.  Taylor  fu costretto alla fuga dall’insurrezione   prima dei Liberiani uniti per la riconciliazione e la democrazia, sostenuti dalla Guinea, e poi del Movimento per la democrazia in Liberia,  che operava  lungo il confine con la Costa d’Avorio.
E forse non fu un caso se anche quest’ultimo Paese, l’unico dell’Africa risparmiato da guerre civili nel quarantennio seguito alla decolonizzazione, precipitò poi, nel 2002, in un conflitto tra il Governo dell’allora  presidente Laurent Gbagbo, anch’egli oggi sotto processo davanti alla Cpi,    e i movimenti ribelli, oggi trasformati in forze politiche che hanno vinto le elezioni del 2010, portando alla presidenza Alassane Ouattara.
La vicenda di Taylor ha segnato  una svolta importante per l’intero continente africano. Si tratta infatti del primo ex presidente  africano incriminato e incarcerato per gli efferati crimini commessi mentre era in carica. E non è rimasto un caso isolato, almeno per quanto riguarda l’incriminazione. La Cpi, infatti, oltre a Gbagbo, ha accusato di crimini contro l’umanità sia il presidente sudanese Omar Hassam el Bashir, per il conflitto  nel Darfur, sia il neoeletto presidente kenyota, Urhuru Kenyatta, per le violente legate alle precedenti elezioni del 2008.