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Lettera dei vescovi eritrei

Lettera dei vescovi eritrei - Pierluigi Natalia

  

Dov'è

  

tuo fratello?

  

10 giugno 2014

 

«Dov’è tuo fratello?». Per chi non lo ricordasse è la domanda rivolta da Dio a Caino che ha assassinato suo fratello. Ora gli eparchi (sarebbero i vescovi) dell'Eritrea quell'interrogativo terribile lo rivolgono ai cittadini e soprattutto al Governo di quel Paese. Con quelle parole, infatti, è intolata una lettera, ben più incisiva di un normale messaggio pastorale, nella quale responsabili delle comunità cattoliche eritree, Mengsteab Tesfamariam, Tomas Osman, Kidane Yeabio e Feqremariam Hagos, rispettivamente eparchi di Asmara, Barentu, Keren e Segeneiti, denunciano le sofferenze della popolazione e dei giovani, spinti da difficoltà e privazioni a emigrare a rischio della vita. Ma la lettera a non si limita a rilevare le condizioni di sottosviluppo economico, ma denuncia esplicitamente le responsabilità di un Governo di fatto totalitario che opprime il suo popolo e spinge tanti a fuggire. Gli eritrei, scrivono i vescovi, «vanno in Paesi pacifici, dove regna la giustizia, dove ci si può esprimere liberamente, dove si lavora e si può guadagnare».

O almeno così sperano. Nessuno ignora che quei viaggi della speranza sono molto spesso destinati a concludersi in tragedia e, in ogni caso, che quelle aspettative di libertà, giustizia e lavoro quasi mai trovano adeguata realizzazione. In questo senso, la lettera degli eparchi eritrei chiama in causa, anche se non esplicitamente, anche gli abitanti e i Governi di quei Paesi di destinazione, chiama in causa anche noi.

Il testo fa particolare riferimento a un episodio che qualche mese fa sconvolse le coscienze anche italiane, cioè il naufragio a largo di Lampedusa del 3 ottobre 2013, nel quale morirono più di trecento persone, in gran parte proprio migranti dal Paese del Corno d’Africa. Ma anche quel risveglio di coscienze, favorito dal fatto che proprio a Lampedusa Papa Francesco aveva voluto fare il suo primo viaggio pastorale, di fatto sembra essere durato poco.

Come già in molti (ma non moltissimi) abbiamo avuto modo di ricordare, passata la prima emozione sono incominciati gli attacchi a Papa Bergoglio e, in subordine, all'unica rappresentante delle istituzione che su questa questione è davvero qualificata a dire parole di verità. Si tratta, ovviamente, della Presidente della Camera, Laura Bolgrini, che negli anni scorsi, come portavoce dell'Alto Commissariato dell'Onu per i Rifugiati, a Lampedusa c'è stata sempre, a difendere il diritto dell'uomo.

Riduurre tali attacchi a scontate considerazioni sulla destra becera sarebbe riduttivo. Le recenti elezioni europee hanno dimostrato il consenso, mai cancellato, ma in questi ultimi decenni cresciuto, di cui in Italia come in altri Paesi godono le posizioni xenofobe o anche esplicitamente razziste. Purtroppo non si tratta solo di ignoranza, né si può liquidare la questione con un paio di considerazioni sul razzismo insito nella destra italiana. Gli attacchi al Papa si spiegano con il fatto che lo hanno capito benissimo. Il Papa, infatti, ha denunciato accanto alle responsabilità individuali quelle politiche, la «crudeltà che c'è (…) in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada ai drammi come questo». E insieme quelle di quanti, magari non anonimi, ma abituati a lucrare consensi senza spessore e a vestirsi della pavidità compromissoria del potere, di quei decisori si mostrano servi, o compiacenti o peggio ignavi. E in Italia sembrano essercene a bizzeffe, compresi molti che si definiscono cattolici in politica e per i quali la dottrina sociale della Chiesa è una sorta di componente che si può comodamente ignorare. Tanto qualche gerarchia ecclesiastica pronta a benedirli la trovano comunque.

E avrà pure un significato che quei parlamentari italiani sedicenti cattolici che negli anni hanno votato leggi inique e feroci, comprese alcune che sono arrivate a definire l’immigrazione un reato penale, si siano chiusi in un silenzio pavido, né approvando quanto detto dal Papa, né prendendo le distanze dai loro compagni di cordata.

Certo, quei politici che si mettono in prima fila durante le Messe con diretta televisiva e che magari hanno ogni momento in bocca (a chiacchiere) “famiglia” e “valori non negoziabili” non sono certo espressione della Chiesa, così come quei consacrati che ci fanno affari insieme. In questo senso, l'impegno cattolico non incomincia certo con Papa Francesco. Da sempre, moltissime voci delle istituzioni religiose, dell’associazionismo e del giornalismo cattolici hanno ricordato che gli africani, prima li abbiamo schiavizzati per due o tre secoli, e quelli che morivano sulle terribili galere venivano sepolti nell’Atlantico (come quelli che scompaiono adesso negli oceani e nel Mediterraneo); poi per oltre un secolo li abbiamo colonizzati, per portargli via materie prime che servivano alla nostra industrializzazione; adesso non li vogliamo fra di noi, punto e basta.

Ma forse l'esempio di Papa Bergoglio insegnerà a dire parole ancora più forti e più chiare. Ad esempio, per ribadire che l’accoglienza dello sventurato, la protezione del profugo, sono tra quei valori che la Chiesa considera non negoziabili. Ad esempio, per affermare che quanti rifiutano un’Italia multietnica e multiculturale rifiutano un’Italia cristiana. Ad esempio, per dire che è troppo comodo far dipendere dai sondaggi le posizioni che si prendono in politica. Nella speranza che un giorno anche tutti noi non saremo costretti a rispondere a quella domanda terribile: «Dov’è tuo fratello?».