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Mentre torna l'incubo delle armi chimiche

Mentre torna l'incubo delle armi chimiche - Pierluigi Natalia

Profughi un milione

  

di bambini siriani  

  

22 agosto

 

Mentre tutta la stampa mondiale e molte cancellerie danno ampio rilevo – spesso in modo acritico e senza riscontri – alle accuse mosse dai ribelli siriani alle forze governative riguardo all'uso di gas nervino contro i civili alla periferia di Damasco, a imporsi all'attenzione è anche l'ennesimo dato drammatico, in questo caso sicuro, sul conflitto siriano, cioè che sono ormai un milione i bambini siriani rifugiati all’estero. La cifra è stata raggiunta proprio ieri, secondo i dati diffusi a Ginevra dall’alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) e dall’Unicef. Almeno il doppio sono invece i bambini sfollati all’interno della Siria a causa del conflitto che devasta il Paese. Del milione di minorenni costretti a fuggire oltreconfine, circa tre quarti, 740.000, hanno meno di undici anni.

«Questo milionesimo bambino rifugiato non è solo un altro numero. È un vero bambino in carne ed ossa strappato alla sua casa, forse anche alla famiglia, di fronte a orrori che possiamo solo cominciare a capire», ha dichiarato il direttore generale dell’Unicef, Anthony Lake, denunciando il «fallimento della comunità internazionale». Una «vergogna», ha detto, che tutti «dobbiamo condividere».

Il responsabile dell’Unhcr, Antonio Guterres, ha detto a sua volta che sono «in gioco la sopravvivenza e il benessere di una generazione di innocenti». I giovani siriani, ha aggiunto Guterres, «hanno perso la loro casa, i loro familiari ed il loro futuro. Anche dopo aver attraversato il confine verso la sicurezza, sono traumatizzati, depressi ed hanno bisogno di un motivo di speranza». Secondo gli ultimi dati delle due agenzie dell’Onu, circa 3.500 bambini e minorenni siriani sono giunti in Giordania, Libano e Iraq non accompagnati o separati dalle loro famiglie.

Il prezzo pagato dall’infanzia siriana al conflitto è enorme: l’Onu stima che ne siano stati uccisi non meno di settemila. I minorenni sono inoltre esposti a minacce quali il lavoro forzato, il matrimonio precoce e lo sfruttamento sessuale.

Nel frattempo, come detto, non si placano le reazioni sulla questione delle armi chimiche, come del resto appare naturale. Il punto da sottolineare per primo è che non c’è alcuna conferma indipendente all’accusa di uso di gas nervino rivolta mercoledì all’esercito siriano dall’opposizione, secondo la quale un bombardamento con questo tipo di arma chimica di distruzione di massa avrebbe provocato 1.300 morti nella provincia di Damasco. Sulla vicenda, seccamente smentita dal Governo del presidente Bashar Al Assad, c’è stata una convocazione d’urgenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu, a conferma dello sconcerto e della preoccupazione suscitata nel mondo dall’accusa accompagnata dalla diffusione sui social network di immagini sconvolgenti di vittime civili, compresi bambini e donne, anche se non esistono prove documentate né sulle cause né sulla collocazione temporale della loro morte.

Il Consiglio di sicurezza ha chiesto «chiarezza», ma non ha esplicitamente sollecitato un’inchiesta dell’Onu stessa, limitandosi ad apprezzare la «determinazione» con cui il segretario generale, Ban Ki-moon, ha assicurato che ci sarà una «pronta indagine imparziale» su quanto eventualmente avvenuto. Va ricordato che sul presunto uso di armi chimiche nel conflitto siriano, sul quale si sono scambiati accuse nei mesi scorsi il Governo e i ribelli, è in corso proprio in questi giorni una missione di ispettori dell’Onu. Gli interventi in sede di Consiglio di sicurezza hanno registrato approcci diversi tra Stati Uniti e Russia, pur concordi sulla richiesta di accertamenti imparziali. La rappresentante di Washington all’Onu, Samantha Power, ha fatto riferimento alle immagini diffuse sui social network e ha parlato di «notizie dalla Siria devastanti, con centinaia di morti nelle strade, tra cui donne e bambini». Secondo Power, «l’Onu deve andar lì in fretta. Se le accuse saranno confermate i responsabili dovranno finire davanti alla giustizia». Poche ore dopo, peraltro, il Governo di Washington ha ammesso di non disporre di informazioni attendibili. L’ambasciatore russo, Vitaly Churkin, ha espresso scetticismo sulle accuse dei ribelli, tanto più in presenza degli ispettori dell’Onu nel Paese, parlando di una provocazione e di una manipolazione mediatica da parte delle opposizioni.

Doverosa prudenza, ma anche estrema chiarezza sulla vicenda si sono riscontrate in un intervento della Santa Sede, sia pure in forma non ufficiale. L’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, il rappresentante del Papa presso le strutture dell'Onu con sede a Ginevra, ha rilasciato un'intervista alla radio vaticana nella quale ha ribadito soprattutto la necessità di riprendere il dialogo per poter arrivare alla conferenza internazionale, la cosiddetta Ginevra 2, «dove i rappresentanti di tutte le componenti della società siriana possano essere presenti, esporre le loro ragioni e insieme creare una specie di Governo di transizione. Per ottenere quest’obiettivo non si possono mettere condizioni che rendano di fatto impossibile questa iniziativa, come escludere l’uno o l’altro dei gruppi che sono coinvolti». Secondo l'arcivescovo, questo sforzo è assolutamente necessario per fermare la violenza. Ma a tal fine serve anche, se non soprattutto «non continuare ad inviare armi sia all’opposizione sia al Governo». Su un possibile intervento armato internazionale, del quale si è tornati a parlare nelle ultime ore dopo l’accusa mossa dai ribelli siriani riguardo al gas nervino, l’arcivescovo ha invitato ovviamente a fare chiarezza, ma ha sottolineato che «anche da un punto di vista d’interessi immediati, al governo di Damasco non serve questo tipo di tragedia, sapendo che ne è comunque incolpato direttamente».