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Papa Francesco a Lampedusa

Papa Francesco a Lampedusa - Pierluigi Natalia

  

Chi ha pianto

  

oggi nel mondo?

  

  

8 luglio 2013

  


 

«Chi ha pianto oggi nel mondo» per i migranti? Quanti di noi riescono ancora a trovare senso e consistenza senza essere «bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile»? Quanti s'interrogano su un benessere che rende insensibili alla tragedia dell'altro? Se lo è chiesto e lo ha chiesto Papa Francesco l'8 luglio, all'omelia della messa penitenziale celebrata a Lampedusa in suffragio delle decine di migliaia di migranti morti nel tentativo di toccare le coste italiane ed europee in generale. Mai con tanta evidenza erano risuonate parole così poco equivocabili su un argomento che pure ha visto la Chiesa pronunciarsi sempre senza tentennamenti. La speranza è che questo intervento del Papa non finisca per annacquarsi in distinguo ed elucubrazioni di tanti pseudo cattolici.

Ma non si tratta solo di identità religiosa. «Ipse ignotus egens Libyae deserta peragro, Europa atque Asia pulsus» (“Ignoto, derelitto, percorro i deserti della Libia, respinto dall'Europa e dall'Asia“). E ancora: «Che genere d'uomini è questo? Che barbara patria permette quest'uso? Ci muovono guerra, vietano di fermarci sulla spiaggia. Se spregiate il genere umano e le armi dei mortali, almeno temete gli dei, memori del bene e del male». È l'Eneide. Così come protettore dello straniero, dell’ospite, è uno degli attributi di Zeus più ricorrente nell’Iliade e nell’Odissea. Prima ancora delle parole inequivocabili del Vangelo — ero straniero e mi avete accolto — la cultura occidentale affermava il diritto d'asilo come segno irrinunciabile di civiltà. Questo diritto, con ancora più forza, affermano duemila anni di cristianesimo. Questo riaffermano tutti – tutti! - i documenti di dottrina sociale sociale della Chiesa.

Eppure un Papa, che qualche bello spirito magari definirà extracomunitario, ha dovuto e voluto compiere il suo primo viaggio apostolico a Lampedusa, la piccola isola siciliana diventata il simbolo della tragedia dell'immigrazione. Francesco ha scelto un'essenzialità fatta di gesti e di parole inequivocabili e pesanti: il lancio di una corona di fiori in mare a ricordo delle decine di vittime inghiottite dal Mediterraneo e un'omelia tagliente e senza sconti. Francesco ha iscritto l'indifferenza della nostra società globalizzata nella ferocia di Caino e di Erode.

 «Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? - ha chiesto il Papa - Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c'entro, saranno altri, non certo io». "Ma Dio chiede a ciascuno di noi: “Dov'è il sangue di tuo fratello che grida fino a me?”. Oggi nessuno si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parla Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo “poverino”, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci sentiamo a posto».

«La cultura del benessere - ha spiegato appunto Francesco -, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza». Secondo il Papa, «ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro. Chi di noi ha pianto fatti come questo? Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini?».

Siamo una società senza memoria, senza rimorsi, senza coscienza, autoassolutoria e bulimica di arroganza individuale e autoreferenziale. «Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere», ha detto Papa Francesco, denunciando accanto alle responsabilità individuali quelle politiche, la «crudeltà che c'è (…) in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada ai drammi come questo».

E insieme quelle di quanti, magari non anonimi, ma abituati a lucrare consensi senza spessore e a vestirsi della pavidità compromissoria del potere, di quei decisori si mostrano servi, o compiacenti o peggio ignavi. Nessuna presunta emergenza immigrazione consente a un cattolico di dimenticare che non esistono clandestini nell'umanità. A maggior ragione non è lecito farlo a persone che si definiscono cattolici impegnati in politica, come, tra gli altri tutti quei parlamentari italiani che negli anni hanno votato leggi inique e feroci, comprese alcune che sono arrivate a definire l’immigrazione un reato penale.

«Quei fratelli e sorelle - ha rimarcato Francesco - cercavano un posto migliore per sé e le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante volte coloro che cercano, non trovano comprensione e udienze, ma le loro voci salgono fino a Dio». E ancora: «Ho sentito uno di questi fratelli: prima di arrivare qui sono passati per mano dei trafficanti, quelli che sfruttano la povertà degli altri, che è fonte di guadagno».

Chi ha pianto oggi nel mondo?.