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Risoluzione interlocutoria del Consiglio di sicurezza

Risoluzione interlocutoria del Consiglio di sicurezza - Pierluigi Natalia

Per il Mali

  

tempi lunghi

  

all'Onu

  

  

16 ottobre 2012

di Pierluigi Natalia
La risoluzione 2071 approvata la settimana scorsa dal Consiglio di sicurezza dell’Onu sulla crisi nel nord del Mali ha suscitato reazioni contrastanti tra quanti a Bamako, la capitale maliana, sono coinvolti nel processo di transizione imposto dalla comunità internazionale dopo il colpo di Stato militare guidato dal capitano Amadou Haya Sanogo,  che il 22 marzo  scorso  aveva rovesciato il presidente Amadou Toumani Touré.
 La risoluzione costituisce una sorta di primo via libera all’invio di  truppe della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas)  incaricate di assistere l’esercito nazionale nella liberazione delle zone del nord del Paese da mesi sotto il controllo di gruppi  fondamentalisti islamici. Ma di fatto  pospone l’intervento di  circa quarantacinque giorni entro i quali il segretario generale, Ban Ki-moon,  dovrà presentare una relazione dettagliata su come tale forza deve essere creata, finanziata, e distribuita e per fare «raccomandazioni particolareggiate».
Il protrarsi dello stallo rischia di accentuare le divisioni che permangono a Bamako, soprattutto tra militari — compreso lo stesso  Sanogo che in aprile ha rimesso il suo mandato —  e le forze politiche che concorrono al Governo di transizione guidato dal  presidente ad interim, Dioncounda Traoré,  e dal primo ministro,  Modibo Diarra.
 Da un lato ci sono quanti, soprattutto  militari, non vogliono sentir parlare di truppe straniere in territorio maliano (comprendendovi anche quel nord del Paese da dove dall’inizio dell’anno l’esercito nazionale è stato costretto a ritirarsi). Dall’altro ci sono il Governo e le forze  politiche e sociali, che contestano i tempi lunghi dell’Onu e sostengono che   già sia  stato perso troppo  tempo con molte sofferenze per le popolazioni.
Dal punto di vista logistico e organizzativo,  l’esercito maliano non è in grado di riconquistare quel nord dal quale è stato espulso in pochi giorni dall’insurrezione, in gennaio, delle milizie tuareg del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla). Né vale la considerazione, fatta all’epoca da più parti e forse con qualche ragione, che per il successo dell’insurrezione dell’Mnla sia stato  determinante il rientro in patria di miliziani tuareg, pesantemente armati, che avevano fatto parte delle forze di Gheddafi, sconfitte dagli insorti libici appoggiati dalla Nato. Ben presto, infatti, sull’Mnla  sono  prevalsi appunto i gruppi i considerati parte della galassia del terrorismo internazionale di matrice fondamentalista islamica, certamente favoriti anch’essi dalla porosità delle frontiere del Sahel e certamente in grado  di avere rifornimenti,  ma non certo di armamenti pesanti.
Diverso è l’aspetto politico: la risoluzione 2071 auspica «l’avvio di un processo negoziale credibile con i gruppi ribelli maliani e i rappresentanti legittimi del Nord, in vista di una soluzione politica percorribile nel rispetto della sovranità, l’unità e l’integrità territoriale del Paese». In sintesi, sostiene che occorra insistere su una mediazione politica. Tra l’altro, Ban Ki-moon ha nominato  nei giorni scorsi un proprio inviato speciale nell’area, l’italiano Romano Prodi,   e ha avvertito che in ogni caso  un’operazione militare ha bisogno di un’attenta pianificazione, poiché altrimenti potrebbe soltanto aggravare la situazione di milioni di persone nel Paese.
Nella mediazione è già impegnato da tempo, per conto dell’Ecowas,  il presidente del Burkina Faso,  Blaise Compaoré, al quale diversi esponenti maliani rimproverano sia di voler «mettere in buona luce» i tuareg, sia soprattutto di voler coinvolgere nella trattativa i gruppi islamisti locali, come Ansar Eddin. Del resto, un simile tentativo sembra avere poche possibilità di successo, se non altro perché la risoluzione 2071 rinnova la richiesta che i militanti delle diverse formazioni politiche attive nel Mali taglino qualsiasi legame con i gruppi fondamentalisti islamici che controllano il nord e che sono appunto considerati formazioni terroristiche.  Il Consiglio di sicurezza si dice pronto ad adottare sanzioni mirate nei confronti di quanti  non rispettino questa disposizione. Inoltre, tra i miliziani dei gruppi  islamisti oggi al potere nel nord del Mali non ci sono solo cittadini di quel Paese, ma numerosi elementi provenienti dall’estero.