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Sistematica strategia negli attacchi ai cristiani

Sistematica strategia negli attacchi ai cristiani - Pierluigi Natalia

Terrorismo

e minoranze

religiose

 

Mentre Washington apre alla trattativa con Al Assad

 

15 marzo 2015

Suscita sdegno e inquietudine l'ennesi strage terroristica che ha visto colpita questa mattina una minoranza cristiana, in questo caso in Pakistan e che ha spinto lo stesso Papa Francesco a ha denunciare all'Angelus l’indifferenza del mondo di fronte al dramma delle persecuzioni che colpiscono i credenti. In due chiese di Lahore, la cattolica St John’s Church e l’anglicana Christ Church, attentatori suicidi talebani hanno causato almeno quindici morti e un’ottantina di feriti tra i fedeli durante le celebrazioni domenicali. Nella St John’s Church, nell’omonimo sobborgo di Youhanabad (città di Giovanni) abitato da una folta comunità cattolica, conseguenze molto più gravi sono state impedite da due poliziotti e da giovani volontari di guardia all’ingresso, che si sono sacrificati per sbarrare il passo all’attentatore.

A questo gesto di eroismo hanno fatto seguito, purtroppo, reazioni inferocite di una folla di circa quattromila persone in cerca di vendetta. Due sospetti complici degli attentatori sono stati linciati e i loro corpi sono stati bruciati. Poliziotti e politici locali accorsi sul posto sono stati cacciati dagli abitanti che accusano il Governo di scarsa risolutezza nel difendere i cristiani. Il primo ministro Nawaz Sharif ha risposto parlando di un attacco contro lo Stato. «La comunità cristiana pakistana ha reso servizi inestimabili alla madrepatria in particolare nel settore sociale e noi la rispettiamo con onore e orgoglio», ha dichiarato.

Le stragi sono state rivendicate da Jamaat-ul-Ahrar, gruppo legato ai talebani e che, secondo fonti concordi, sta reclutando molti giovani nel sud del Paese con una predicazione basata su una distorta visione della sharia, la legge coranica, che incita all’odio religioso.

Come accade nella gran parte dei Paesi islamici dove agiscono gruppi jihadisti, le loro vittime sono in massima parte musulmane. Tuttavia, la persecuzione delle minoranze religiose è sistematica e teorizzata da tali gruppi. Ne è un esempio proprio il Pakistan, ma il fenomeno è mondiale e nell’ultimo periodo è cresciuto in modo esponenziale. Nel 2014 sono stati 4.344 i cristiani uccisi e oltre mille le chiese attaccate, soprattutto in Iraq e Siria a opera del cosiddetto Stato islamico e in Nigeria di Boko Haram, secondo l’organizzazione protestante Open Doors. Nel 2012 i morti erano stati 1.201 e l’anno dopo 2.123.

Né questa violenza è prerogativa esclusiva del jihadismo. A fondamentalisti hindu, per esempio, sembra dovuta l’aggressione a un convento di suore a Ranagath, nello Stato indiano del Bengala occidentale, dove otto uomini nella notte tra venerdì e ieri hanno duramente picchiato quattro religiose e violentato la loro superiora.

Anche in questo caso, il Governo locale ha parlato di tentativo di destabilizzare lo Stato.

Si tratta di un aspetto significativo: alle condanne di tutte le principali esponenti religiosi del mondo, incominciano infatti ad aggiungersi riflessioni – e mutamenti di strategie – di molti Governi, compresi alcuni che con l'estremismo religioso hanno abbondantemente flirtato in questi anni, per non dire che l'hanno sostenuto e armato.

La principale novità politica di queste ore riguarda comunque il conflitto in Siria, entrato nel suo quinto anno con il suo carico spaventoso di vittime e con il protrarsi della maggiore emergenza umanitaria al mondo. «Dobbiamo parlare con Al Assad», ha dichiarato il segretario di Stato americano, John Kerry, in un'intervista rilasciata alla Cbs durante la sua viosita al Cairo Finora il Governo di Washington aveva sempre sostenuto che il presidente siriano Bashar Al Assad ha perso legittimità e che il percorso di pace è legato al suo abbandono del potere.

Il fattore determinante di questa svolta nella strategia statunitense, a giudizio concorde degli osservatori, è chiaramente legato all’irruzione nel contesto siriano, da quasi un anno a questa parte, dell'Is. Gli Stati Uniti, che guidano la coalizione internazionale impegnata contro l’Is, prendono dunque atto della necessità di rilanciare un processo politico e negoziale che implica un confronto con Damasco e quindi con Al Assad, finora escluso da Washington in ogni ipotesi di transizione siriana.

Se è vero che il caos siriano ha offerto terreno fertile per l’affermarsi dell’Is, anche dal punto di vista militare, il dialogo con Damasco è adesso un’opzione che non si può più escludere, proprio nell’ottica di un intervento contro il gruppo jihadista. La coalizione internazionale opera infatti in Iraq in sintonia con il Governo di Baghdad, mentre i raid in Siria a giudizio di molti osservatori non hanno piena legittimazione, sia perché manca un mandato delle Nazioni Unite sia appunto perché non c’è coordinamento con il Governo di Damasco. Nell'intervista, Kerry riferisce che si stanno elaborando modi per portare Al Assad al tavolo della trattativa: «Alla fine dobbiamo negoziare e ciò per cui stiamo spingendo è portare Assad a fare proprio questo».

Dal fronte libico, intanto, si segnalano per la prima volta combattimenti tra le milizie che dichiarano di aderire all’Is e quelle islamiche dell’autoproclamato Governo di Tripoli, a conferma di una diffusa convinzione anche tra soggetti radicali islamici che il terrorismo è per l'islam un corpo estraneo e una minaccia.