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Tensione tra Egitto ed Etiopia

Tensione tra Egitto ed Etiopia - Pierluigi Natalia

 

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16 giugno 203

di Pierluigi Natalia
La ratifica,  questa settimana, da parte dell’Etiopia dell’accordo quadro tra i Paesi del bacino del Nilo che contestano il diritto di veto dell’Egitto su tutti i progetti relativi alle acque del fiume sembra destinata ad alimentare le tensioni tra Il Cairo e Addis Abeba.  A riportare d’attualità il contrasto  è il  progetto della Diga del Rinascimento, un colosso idroelettrico per cui l’Etiopia ha disposto e avviato i lavori di modifica del corso del Nilo Azzurro.
L’accordo quadro in questione,  firmato nel 2010 da sei dei dieci Paesi rivieraschi  membri dell’Iniziativa del bacino del Nilo,  prevede  l’abolizione delle intese di epoca coloniale  che garantiscono  ad Egitto e Sudan lo sfruttamento di circa il novanta per cento  delle acque del più grande fiume d’Africa.
Le regole, infatti, nonostante i tentativi di revisione, sono tuttora quelle fissate dal trattato concluso nel 1929 tra Il Cairo e Londra (quest’ultima a nome delle allora colonie britanniche, oggi Stati indipendenti) in base al quale i Paesi attraversati dal fiume non possono in alcun modo incrementare l’utilizzo di tali acque se ciò ne diminuisce la portata che giunge in Egitto. Il trattato fu in parte rinegoziato nel 1959, prima dell’inizio dei lavori per la grande diga di Assuan, da Egitto e Sudan ormai indipendente, dando ai due Stati rispettivamente 55,5 e 18,5 miliardi di metri cubi d’acqua all’anno. Ma tutti gli altri Paesi non parteciparono alla nuova spartizione e da allora continuano a chiedere, in particolare Tanzania e Etiopia, di poter riaprire la partita negoziale per stabilire quote più eque di utilizzo delle acque.
Quello legato al Nilo è da sempre uno dei maggiori rischi di conflitto in Africa. Nel giugno del 1980 si arrivò a un passo dalla guerra tra Egitto ed Etiopia, che si opponeva alla decisione del Cairo di far confluire parte delle acque del fiume verso il deserto del Sinai. Per tutto il Novecento la posizione egiziana è stata assolutamente rigida. All’inizio di questo secolo, invece, il Governo del Cairo ha  più volte partecipato a tavoli negoziali.  Ciò nonostante, sul punto cruciale, cioè il suo diritto di veto, non ha mai fatto passi indietro e non ha mai nascosto di essere pronto a usare la forza.
Anche questa settimana, di fronte alle iniziative dell’Etiopia, il presidente egiziano Mohammed Mursi ha dichiarato che «tutte le opzioni sono al vaglio» e che l’Egitto «non ammetterà la perdita di una sola goccia della sua acqua». Il Governo di Addis Abeba  ha risposto che tanta acqua entrerà nell’invaso della diga e tanta ne uscirà, ma ciò non è servito  a stemperare i contrasti con quello del Cairo.
  In ogni caso, l’Egitto  rischia un ulteriore isolamento. Lo stesso Sudan, infatti, ha sposato le ragioni dell’Etiopia e degli altri Paesi rivieraschi. A questo ha contribuito la secessione sudsudanese, che da quasi due anni vede un nuovo soggetto internazionale, il Sud Sudan appunto, coinvolto nella questione. Si tratta oltretutto di un nuovo Paese non arabo (la popolazione del Sud del Sudan è diversa da quella del Nord) e quindi non legato  a quel mondo arabo del quale  l’Egitto è uno degli Stati leader.
Quello del Nilo è solo l’esempio più eclatante, non certo l’unico, del rischio  che si avveri la minaccia secondo la quale nel xxi secolo l’acqua avrà lo stesso ruolo di causa di conflitti avuto nel xx secolo dal  petrolio.
L’emergenza idrica già si configura, infatti, come una  catastrofe. La maggioranza dell’umanità è vessata da una situazione che provoca — direttamente e per le malattie collegate al consumo di acqua non pulita — cinque milioni di morti all’anno, compresi due milioni di bambini sotto ai cinque anni di età. E la situazione, lungi dal migliorare, si aggrava continuamente. Senza  misure immediate e concrete per invertire la tendenza, i rapporti dell’Onu  stimano  che nel 2025 due persone su tre soffriranno in varia misura di mancanza di acqua.
Mantenere l’integrità degli ecosistemi d’acqua dolce costituisce dunque una priorità in diverse zone del mondo, soprattutto nelle più povere, dove la sicurezza alimentare  dipende in gran parte dalle risorse dei fiumi.
 Questo vale in quasi ogni parte del pianeta, ma ha conseguenze particolarmente drammatiche  in Africa, dove ogni Stato  condivide almeno un fiume con altri Stati, determinando un contesto geopolitico segnato da attriti continui.
Il continente, che conta circa un settimo della popolazione mondiale, dispone del nove per cento delle risorse di acqua dolce, ripartite però in modo diseguale, male utilizzate e minacciate da inquinamento e in qualche caso da accaparramenti a beneficio di interessi privati, locali e internazionali. Secondo i dati delle Nazioni Unite, solo il 64 per cento della popolazione africana ha accesso all’acqua potabile.
Tuttavia, in situazioni nel passato spesso sfociate in conflitti armati  comincia ora a farsi largo la volontà di percorrere la strada maestra della cooperazione. Ma si tratta di una strada ancora irta di ostacoli e di un’impostazione tutt’altro che consolidata.  Gli sviluppi politici e diplomatici di alcune tra le più annose e cruente crisi africane, infatti,  aprono o riaprono contenziosi solo all’apparenza marginali e che sarebbe miope sottovalutare da parte della comunità internazionale.