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Attentati in Niger estendono la crisi

Attentati in Niger estendono la crisi - Pierluigi Natalia

 

 Il Sahel

  

con troppe

  

armi

  

  

29 maggio 2013


 

di Pierluigi Natalia

Gli attentati jihadisti in Niger della settimana scorsa hanno confermato nel Sahel una delle principali aree di crisi del mondo e hanno rinnovato le perplessità sull'efficacia di risposte affidate alle armi. Fra l'altro, non sono stati ancora del tutto chiariti i risultati e la dinamica dell’operazione effettuata nell'area subito dopo da truppe francesi e sulla quale non pochi osservatori sollevano interrogativi. Gli interventi in Libia e in Mali, decisi rispettivamente dal presidente Nicolas Sarcozy e dall'attuale capo di Stato francese, François Hollande, non hanno impedito il rafforzamento jihadista temuto da diversi Governi. Del resto, la connessione tra la crisi del Mali e quanto accaduto in Niger è accertata. Gli attentati, che hanno provocato 25 morti e decine di feriti, sono stati rivendicati dagli stessi jihadisti autori in gennaio della presa d'ostaggi, finita tragicamente nel sito per l’estrazione di gas di In Amenas, in Algeria, gestito della compagnia energetica francese Areva. Anche in Niger uno degli obiettivi degli attacchi (l'altro è stato una campo d'addestramento militare ad Adegas) è stata la miniera di uranio di Somai, nella città di Arlit, cui è concessionaria una sussidiaria di Areva. In entrambi i casi, le rivendicazioni hanno fatto riferimento all’intervento armato francese in Mali, che avrebbe dovuto concludersi entro aprile, ma che finora ha tutt'altro che raggiunto gli obiettivi dichiarati, primi fra tutti la pacificazione e il ripristino della normale convivenza civile.

Sebbene il doppio attentato sia stato il primo episodio del genere nella storia del Niger, non ha sorpreso più di tanto molti osservatori. Il Niger è infatti uno dei territori che più si sono trovati esposti alla crisi apertasi due anni fa dopo l’intervento della Nato in Libia e la caduta del regime di Muammar Gheddafi. I confini nigerini sono tra i più porosi dell'Africa, di un continente cioè che pure vede proprio lungo linee di frontiere – si pensi all'est congolese o alla Somalia – incancrenire da decenni crisi spaventose. Negli ultimi due anni li hanno attraversati un numero imprecisato di miliziani e mercenari, prima in fuga dalla Libia e poi dal Mali. Questo flusso di armi e combattenti ha messo a rischio la fragile stabilità del territorio, già teatro di ribellioni in lotta contro il Governo di Niamey. Poco dopo, a partire dal gennaio 2012, è esplosa la crisi nel vicino Mali, anch’essa favorita dall’accresciuta facilità di ottenere armi di cui hanno beneficiato sia degli indipendentisti tuareg sia dei miliziani jihadisti.

A questo si aggiunge che le scelte geopolitiche e militari del presidente Mahamadou Issoufou hanno fatto del Niger un bersaglio evidente degli attacchi jihadisti, persino più di quanto non fosse l'Algeria, pure dolorosamente colpita, come detto, nel gennaio scorso. Issoufou è stato infatti il primo capo di Stato africano a chiedere un intervento militare internazionale per “salvare il Mali” e il primo a inviare truppe, settecento soldati, a sostegno di quelle francesi nelle operazioni nel nord del Paese confinante.

A spiegare un tale attivismo possono contribuire tanto la cronaca quanto la geografia. Da un lato la già citata porosità dei confini fa temere al Governo di Niamey, come detto già alle prese con gruppi ribelli interni, il “contagio” jihadista. A questo si aggiunge che dall’inizio della crisi maliana decine di migliaia di sfollati da Gao, ma anche cinquecento soldati governativi maliani, hanno trovato ospitalità in Niger, ma causano forti difficoltà a un Paese tra i più colpiti dalla crisi alimentare degli ultimi anni.

Dall'altro lato c'è la questione dei giacimenti d'uranio del Niger, voce fondamentale dell'economia nazionale e principale motivo dell'interesse al Paese delle potenze occidentali, Francia e Stati Uniti soprattutto, che sono molto vicini ai confini con il nord del Mali. La stessa Niamey dista da Gao circa quattrocento chilometri, mentre più di mille la separano dalla capitale maliana Bamako. Tale vicinanza spiega anche un altro degli impegni che gli occidentali, in questo caso gli Stati Uniti, hanno ottenuto da Issoufou, cioè di stabilire due basi – a Niamey e ad Agadez, quasi alla frontiera maliana – per il sorvolo della regione con droni, gli aerei senza pilota. A questo si aggiunge che il Ciad utilizza il Niger come punto di transito e rifornimento dei propri soldati impegnati sul fronte maliano. Ce ne è abbastanza per spiegare come il Niger sia nel mirino del terrorismo di matrice fondametalista islamica del Sahel.

Meno studiati, a giudizio di molti osservatori, sono i motivi che spingono il Governo di un Paese stremato dalla carestia e in gran parte dipendente dagli aiuti umanitari, a impegnare una parte delle proprie scarse risorse finanziarie in spese militari e soprattutto ad affidare alla forza delle armi le proprie prospettive. Il che riporta, appunto, alle perplessità sugli schemi internazionali di risposta al terrorismo. E sembrano purtroppo destinati a essere facili profeti quanti prevedono per il Sahel un destino simile a quelli di Iraq, Afghanistan o Somalia. Per non parlare di altre zone africane devastate da gruppi armati, come la Nigeria o l'est congolese.