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Una tragedia sempre in aumento

Una tragedia sempre in aumento - Pierluigi Natalia

 

L'Africa

  

dei profughi

  

  

12 settembre 2013


 

Un nuovo capitolo della tragedia dei profughi in Africa è stato denunciato in queste ore dall’alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr), che ha riferito dell’espulsione nell’ultimo mese di circa trentamila burundesi dalla Tanzania, deplorando l’assenza di attenzione internazionale su una situazione sempre più drammatica. Non è la prima volta che l’Unhcr denuncia latitanza d’impegno su una delle questioni cruciali della nostra epoca, quella appunto dei rifugiati. Il problema investe praticamente tutto il mondo, tra Paesi da cui fuggono milioni di persone e Paesi in cui cercano un rifugio che molto spesso viene loro negato o se non altro ostacolato.

Lo stesso Unhcr, nato per fornire assistenza ai profughi della seconda guerra mondiale, meno di due milioni di persone in tutto, ha visto via via accrescere i propri compiti. Accaduto soprattutto dopo la caduta del muro si Berlino, un quarto di secolo fa. In questi venticinque anni quella che era stata salutata come una svolta di libertà si è via via consegnata alla deriva di quella distorsione della libertà che è il liberismo, sfociando nelle ingiustizie strutturali di una sedicente globalizzazione tradotta nel primato arrogante di una finanza anonima e incontrollata sull'economia reale, sul lavoro. Anche gli i immensi spostamenti di popolazioni a causa delle guerre e della fame non pongono solo un problema di assistenza – che troppe volte si traduce in una sorta di carità pelosa – ma di reale accoglienza e, soprattutto, di giustizia e di riequilibrio dei rapporti tra le aree ricche del mondo e quelle devastate. Né vale solo per i Governi, ma anche per la società civile e per le stesse religioni. In merito è stato chiarissimo Papa Francesco due giorni fa, quando recandosi al centro Astalli per i rifugiati, gestito a Roma dai gesuiti, ha scandito a proposito delle proprietà ecclesiastiche che «i conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare i soldi. I conventi vuoti non sono vostri, sono per la carne di Cristo che sono i rifugiati». 

La questione profughi non è solo conseguenza, ma anche alimento di conflitti e tensioni in molte aree del mondo e, tra queste, l’Africa si distingue dolorosamente. Se ne sono avute negli ultimi anni dimostrazioni evidenti nel Corno d’Africa, soprattutto con la tuttora irrisolta crisi somala, e nel Sahel, dove il conflitto in Mali anche sotto questo aspetto ha peggiorato le condizioni di popolazioni già stremate. Gli stessi flussi di profughi nel Mediterraneo, tante volte stroncati da mortali naufragi, costituiscono solo una percentuale minore di un drammatico fenomeno di dimensioni ben più ampie.

Nella regione africana dei Grandi Laghi e nell’intricata interconnessione tra le sue diverse crisi la questione profughi è ormai endemica e quanto sta accadendo in Tanzania ne costituisce, come detto, solo un ultimo capitolo. Secondo Catherine Hack, la responsabile dell’Unhcr nella capitale burundese Bujumbura, i provvedimenti sono stati adottati a partire dalla seconda metà di agosto. A essere espulse sono state sia persone fuggite dalla guerra civile negli anni Settanta, sia da quella del 1993-2002 che provocò 300.000 morti. Nel quinquennio successivo, i programmi di rimpatrio volontario attuati dall’Unhcr, che avevano ricondotto in Burundi oltre 350.000 rifugiati in Tanzania. Già allora, comunque, tali rimpatri erano stati difficili, nonostante l’impegno dell’Unhcr a fornire arnesi agricoli, suppellettili, semenze, aiuti per trovare una casa e assistenza legale (spesso, al loro rientro, i profughi trovano le loro terre occupate dai vicini).

I trentamila burundesi espulsi nelle ultime settimane dalla Tanzania sono appunto in maggioranza profughi di guerra. Molti di loro, uomini e donne, si erano sposati o con cittadini tanzaniani o con connazionali con diritto di residenza e ora potrebbero essere costretti a vivere separati dal coniuge e dai figli. Tra gli espulsi, comunque, figurano anche persone arrivate più di recente, in questo caso non per sfuggire a violenze — che peraltro nei Grandi Laghi restano una costante — ma in cerca di opportunità di lavoro. Secondo il Governo tanzaniano, soprattutto queste ultime sarebbero entrate illegalmente. Le persone costrette a lasciare la Tanzania sono tornate per lo più nelle province burundesi di Rutana, di Muyinga, di Ruyigi e di Makamba. «Dormono all’aperto — ha sottolineato Hack — senza un documento di riconoscimento, senza nulla».