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Sulla crisi siriana

Sulla crisi siriana - Pierluigi Natalia

 

Spazio

  

agli sforzi di pace

  

10 settembre 2013

 


 

Alla determinazione di pace espressa da milioni di persone sembra offrire ora un contributo l'azione diplomatica sulla crisi siriana. Appunto un contributo per scongiurare l'allargamento del conflitto è la proposta russa di mettere sotto controllo internazionale e poi distruggere quelle armi chimiche che il Governo siriano del presidente Bashar Al Assad è accusato da molti, in particolare da Washington, di aver usato contro il suo popolo. In poche ore, quelle seguite alla giornata di preghiera e di digiuno voluta da Papa Francesco e alla quale hanno aderito donne e uomini di ogni fede religiosa, ma non credenti, si è delineata una strategia che potrebbe impedire interventi armati stranieri nel già devastante conflitto siriano e favorire una ripresa delle iniziative negoziali. Potrebbe dunque delinearsi quella soluzione politica necessaria a mettere fine a una tragedia che ha già provocato più di centomila morti e ridotto un terzo degli abitanti alla condizione di profugo, tra i due milioni di rifugiati all'estero e gli oltre quattro milioni di sfollati interni.

Dopo che il segretario di Stato americano, John Kerry, aveva detto ieri mattina a Londra che il più volte annunciato intervento armato di Washington avrebbe potuto essere fermato se Assad avesse consegnato le armi chimiche all'a comunità internazionale, è stato il responsabile della diplomazia russa, Serghiei Lavrov a comunicare di aver ottenuto una disponibilità in questo senso dal ministro degli Esteri siriano, Walid Al Muallim. Questa mattina sono stati invece i ribelli, a loro volta accusati dell’uso di armi chimiche, a bocciare la proposta. In un comunicato della Coalizione nazionale siriana si parla di «manovra politica per un inutile rinvio che causerà solo altri morti e distruzioni per il popolo siriano».

Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che ieri ha rilasciato diverse interviste e che oggi terrà un discorso alla Nazione, ha parlato di un «possibile passo avanti» per evitare l’attacco militare. «Ho sempre preferito una soluzione diplomatica», ha detto Obama, specificando che durante il G20 della scorsa settimana a San Pietroburgo ne aveva aveva parlato con il presidente russo Vladimir Putin, senza che ce ne fosse traccia in comunicati ufficiali, e che «questa è la continuazione di quelle conversazioni». Obama è quindi orientato verificare se la proposta di Mosca, che ha incassato un primo sì da Damasco, abbia una consistenza reale. Il Governo di Washington, ha detto il presidente, «si confronterà con i russi e la comunità internazionale per vedere se si può arrivare a qualcosa di serio e verificabile». Il presidente ha

Di conseguenza, slitterà il voto del Senato statunitense, che era previsto per domani, sulla mozione che Obama aveva presentato per chiedere al Congresso un via libera all'intervento in Siria. La richiesta di Obama, che secondo la Costituzione può comunque decidere da solo, si spiega perché la stessa Casa Bianca ammette che la vicenda siriana non investe la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e, quindi, il dovere del presidente di intervenire. Il rinvio del voto è stato comunicato dal senatore del Nevada Harry Reid, leader della maggioranza democratica, che non ha indicato una nuova data e che secondo fonti diplomatiche citate dalle agenzie di stampa intende ascoltare cosa dirà Obama nel discorso di questa sera. «Non è questione di agire in fretta, ma di agire bene», ha comunque spiegato Reid. In precedenza era stato lo stesso Obama a dire che «c'è da capire bene cosa sta succedendo. Immagino che anche il Congresso avrà bisogno di tempo per prendere le sue giuste decisioni, penso a settimane».

Appoggio a Mosca ha dato l'Iran, il principale alleato della Siria in Medio Oriente. «Siamo favorevoli all’iniziativa per mettere fine alla crisi in Siria evitando qualsiasi intervento militare», ha detto il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Marzieh Afkham, secondo il quale la proposta russa si inserisce nel quadro degli sforzi affinché la regione «sia liberata dalla presenza di armi di distruzione di massa» e ha aggiunto che «questi sforzi devono includere anche le armi chimiche nelle mani dei ribelli siriani».

Contrario si è detto invce il Governo turco, il cui ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu, ha detto che dare tempo ad Assad significa dargli via libera per nuovi massacri con armi chimiche. Davutoglu ha aggiunto di non avere dubbi che l'uso di gas nervini vada attribuito all'esercito di Damasco e non ai ribelli, specificando peraltro che la Turchia sostiene quelli che ha definito moderati e non i gruppi radicali islamisti, come il Jabhat al Nusra.

Proprio contro tale gruppo è ripresa oggi un'operazione dell'esercito siriano per sottrargli il controllo della cittadina di Maalula, considerata il simbolo della presenza cristiana in Siria. I miliziani di Jabhat al Nusra, in maggioranza né siriani né arabi, l'avevano occupata nei giorni scorsi. L'esercito era già stato respinto una volta ed era solo riuscito a portare in salvo gran parte dei cristiani. Sembra però accertato che i ribelli, oltre a danneggiare chiese e monasteri, abbiano ucciso non meno di una decina di uomini della comunità cristiana. Di violenze a Maalula «vergognose e incompatibili con lo spirito tollerante della religione» ha parlato il presidente libanese, Michel Sleiman, denunciando gli attacchi alle chiese della cittadina, definite simboli della civilizzazione che rappresentano lo spirito della pace e della tolleranza. Sleiman ha detto che intende denunciare la situazione di Maalula all'Onu, aggiungendo di averne già parlato sabato scorso incontrando a Nizza il presidente francese François Hollande.