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Cambiamento in Vaticano

Cambiamento in Vaticano - Pierluigi Natalia

  

Papa Francesco

 

e una Chiesa

  

più semplice

  

 

  

19 marzo 2013


 

di Pierluigi Natalia

Buona sera, buon giorno, buon appetito. Termini banali, spesso usati in modo automatico. Poi li usa un Papa e cambia gli scenari. Del resto, che il cambiamento sia la misura di questo pontificato è apparso evidente già nel fatto che il nuovo Papa sia un gesuita che ha scelto di chiamarsi Francesco. Per quanti conoscono lo stile ecclesiale e il linguaggio dei simboli ai quali si dà rilievo nella Chiesa, già questo segnala che il pontificato di Jorge Mario Bergoglio avrà tra i suoi capisaldi il discernimento proprio dei figli di Ignazio di Loyola e il primato evangelico della povertà del Santo di Assisi. In termini ecclesiali si chiama servizio. Tradotto in politichese contemporaneo si potrebbe parlare di una leadership basata sui bisogni primari, senza indulgenze al populismo e soprattutto senza acquiescenza al primato dei cosiddetti poteri forti. Una Chiesa più semplice e proprio per questo più efficace, più capace di parlare ai popoli. Con ricadute anche negli assetti politici ed economici.

Giovanni Paolo II incominciò il suo pontificato invitando a non aver paura di aprire, anzi di spalancare le porte a Cristo. E nell'epoca dei blocchi, della guerra fredda, quelle parole di un Papa venuto dalla Polonia assumevano anche un significato politico che il decennio successivo avrebbe reso manifesto. Papa Francesco ha detto oggi, nella sua messa di inizio pontificato, di non avere paura dell'amore, anzi della tenerezza. In un mondo che si è sclerotizzato da almeno un ventennio – almeno nella sua parte più ricca - in una sorta di pensiero unico individualista e liberista, parlare di amore e di tenerezza come misura del comportamento ecclesiale e sociale è abbastanza rivoluzionario, anche per un Papa venuto “quasi dalla fine del mondo”, come ha detto egli stesso e da un continente che alle rivoluzioni è abituato. Sarà il tempo a dirci se questo spirito di cambiamento, questo riaccendere le braci del Concilio produrrà nuovi e positivi incendi nella convivenza mondiale o se la Chiesa resterà relegata ai settori dell'assistenza, e costretta a pronunciamenti etici sempre meno ascoltati da una modernità che appare antropologicamente mutata. Papa Francesco ne è pienamente cosciente. Non a caso, nella prima omelia, a braccio, tenuta ai cardinali il giorno dopo l'elezione, ha ricordato che la Chiesa non è un'organizzazione non governativa benefica, non è chiamata solo a dare ai poveri, ma ad avere uno stile di povertà radicato appunto nell'amore.

C'è una speranza e c'è una certezza in un Papa che ha scelto di chiamarsi Francesco. Perché, se i nomi hanno un senso, questo annuncia anche volontà di dialogo con tutti, a partire dall'Islam. Francesco, che in epoca di crociate si reca dal sultano Salah el Din, è infatti il pegno di una storia fatta di sforzo dialogante anche nei suoi periodi più cupi. E oggi, a giudizio di molti, è uno di quelli. La certezza è che ci sono molte ferite da risanare, spirali di vendette da interrompere, giustizia sociale e autentico sviluppo umano da promuovere. La Chiesa, soprattutto nei panorami ad altissimo tasso di pericolosità, ha fatto e fa la sua parte, schierandosi con i più poveri e gli emarginati, incitando alla solidarietà e al reciproco rispetto, molto più di quanto non sappia o non voglia sapere un'opinione pubblica condizionata da un'informazione che ignora o vuole ignorare tutto quello che non sia scandalo o anticlericalismo fuori tempo massimo.

La Chiesa è fatta di milioni di persone al servizio dei bisogni dell'uomo. E la stessa sua organizzazione centrale, quella Curia di cui si parla tanto male, consente di rendere più efficace questo servizio. Ma certo voce del Vescovo di Roma può portare rinnovato sostegno, indirizzare su più convinti e convincenti sentieri di pace. Può, soprattutto, dare voce alla speranza degli umili, di arginare l'arroganza di poteri che considerano ovvio basare i rapporti tra popoli e persone sulla forza, sull'interesse dei pochi che hanno troppo, sulla fatica dei moltissimi che non hanno nulla. In ogni sud devastato del mondo. E anche in quell'Italia in sofferenza della quale il Papa è primate.