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Il controverso referendum nell'Abyei

Il controverso referendum nell'Abyei - Pierluigi Natalia

  

Nuove minacce

  

alla pace sudanese

  

  

30 ottobre 2013

 

La questione dell'Abyei, la regione petrolifera tuttora contesa tra Sudan e Sud Sudan a oltre due anni dall'indipendenza di quest'ultimo, minaccia di riaccendersi e di sfuggire dal controllo dei due Governi, proprio mentre le autorità di Juba mostrano un netto cambiamento di linea e rilanciano i negoziati con Khartoum sulla sicurezza come assoluta priorità. Due settimane fa, infatti, il Governo sudsudanese ha bloccato ogni iniziativa a sostegno del referendum per l’autodeterminazione dell’Abyei, dove la presenza di caschi blu dell'Onu non è finora stata sufficiente a frenare le violenze.

La consultazione avrebbe dovuto già tenersi nel 2011, in concomitanza con quella che ha sancito l'indipendenza del Sud Sudan, ma è stata sempre rinviata a causa dei disaccordi tra Sudan e Sud Sudan sulla definizione degli aventi diritto. Secondo il Governo di Juba, a pronunciarsi dovrebbe essere solo la comunità residente dei Dinka, mentre quello di Khartoum vuole che lo facciano anche i pastori arabi Misseriya, suoi tradizionali alleati, che si spostano nella regione solo alcuni mesi l’anno. Secondo la corte internazionale di arbitraggio l'Abyei appartiene ai nove regni delle comunità Dinka, ma il pronunciamento non è mai stato riconosciuto dai Misseriya che dicono di aver accolto le comunità agricole sulle loro terre.

Nel frattempo, Khartoum, che con l'indipendenza sudsudanese ha perso la maggior parte delle risorse petrolifere, ha continuato a incamerare quelle dell'Abyei, dove ha anche inviato truppe a proteggere i pozzi, nonostante appunto la presenza nella regione dei caschi blu.

Sulla base di una proposta dell’Unione africana, il referendum avrebbe dovuto infine tenersi questo mese di ottobre e finora il Sud Sudan aveva insistito affinché la scadenza fosse rispettata. Poi c'era stato appunto un brusco cambio di linea. Un’implicita conferma l'aveva data due settimane fa l’ambasciatore sudsudanese a Khartoum, Mayam Dut Wol, che aveva ipotizzato un nuovo rinvio, aggiungendo che i due Paesi «continuano a cooperare sulle questioni attinenti alla sicurezza». Uguale sottolineatura era stata fatta in un precedente incontro tra il presidente sudanese Omar Hassam el Bashir e quello sudsudanese Salva Kiir Mayardit.

A giudizio di molti osservatori, entrambe le parti hanno preso atto che la questione centrale, in questo momento, è la presenza di gruppi ribelli da una parte e dell'altra del confine, in particolare nello Stato sudsudanese dello Jonglei e in quelli sudanesi del Nilo Azzurro e del Kordofan meridionale, oltre che nell'Abyei stessa. Una presenza che minaccia di compromettere a lungo andare l'Accordo generale di pace, firmato il 9 gennaio 2006, per porre fine all'ultraventennale conflitto civile sudanese.

Fino a non molto tempo fa i due Governi si erano limitati ad accusarsi a vicenda di sostenere i rispettivi gruppi ribelli, ma da ultimo gli sviluppi del negoziato mediato dall'Unione africana avevano rivelato una condivisa presa d'atto che la pacificazione del confine è una priorità assoluta. In questa luce si comprende perché Juba abbia frenato sulla questione dell'Abyei, nonostante le sue ricchezze petrolifere, nel timore che il referendum avesse come primo esito quello di riaccendere il conflitto.

I Dinka non se ne sono dati per intesi e nello scorso fine settimana hanno fatto il loro referendum, dall'esito non ancora conosciuto, ma scontato. Secondo il quotidiano Sudan Tribune,  a promuovere la consultazione sarebbe stata nell’organizzazione non governativa Kush, guidata da Deng Alor e Luka Biong, esponenti del Governo di Juba originari dell'Abyeii. Il referendum unilaterale, peraltro, non è stato riconosciuto né da Juba né da Khartoum, ed è stata stigmatizzato dall’Unione africana come illegale e una minaccia per la pace.

Subito dopo, il National Youth and Student organisation for Abyei, composto da esponenti sia Misseriya sia Dinka, ha annunciato a Khartoum un nuovo voto, definito aperto a tutti, e ha invitato la comunità internazionale a monitorarne lo svolgimento. Ma anche in questo caso non c'è stato sostegno né dei due Governi né dell'Unione africana.

Dall'Abyei, intanto, il leader dli Misseriya, Mukhtar Babu Nimir, ha accusato quelli che ha definito genericamente intellettuali e leader politici Dinka di aver voluto far svolgere una consultazione alla quale gli stessi capi tribali Dinka sono contrari. Babu Nimir, peraltro, ha in un certo senso preso le distanze da Khartyoum. «Il nord riconosce le nostre rivendicazioni, per questo siamo in linea con loro», ha spiegato in un’intervista al quotidiano Al Meghar, ammonendo però che «se Khartoum dovesse accordarsi per un referendum che non preveda la nostra partecipazione, saremmo pronti a difendere la nostra terra».

In ogni caso, la vicenda dell'Abyei resta aperta e, petrolio a parte, non risolverla minaccia di lasciare un focolaio di tensioni che in ogni momento può innescare nuovi conflitti.