Perseveranza per costruire la pace, determinazione nel volerla, ha chiesto ancora Papa Francesco. Dopo il grido di pace tradotto in gesti e parole, ma anche in momenti di silenzio assordante nella veglia di preghiera di sabato sera in Piazza San Pietro, a conclusione della giornata di digiuno e di preghiera - che in tutto il mondo ha visto uniti cattolici, fedeli di altre confessioni cristiane e di altre religioni e chi fede religiosa non ha, ma fede nell'uomo si – all'Angelus di domenica il Papa ha reiterato l'appello a pensare la pace. Ha reiterato la denuncia della guerra, di tutte le guerre, additando le responsabilità dei produttori, dei venditori e dei trafficanti di armi, del denaro senza controllo e senza principi. E ancora questa mattina, con un twitter da quell'account @Pontifex che oggi è il più seguito del mondo, il leader della mobilitazione disarmata delle coscienze è tornato a chiedere di «di intraprendere con coraggio e con decisione la via dell’incontro e del negoziato"»
Il grido dei popoli e l'ostinazione dei costruttori di pace cercano ascolto dai potenti del mondo, chiedono che la diplomazia faccia premio sulla forza, che si dia il tempo necessario per ascoltare le ragioni della pace. E qualche risposta, forse, incomincia ad arrivare. Il segretario di Stato americano, John Kerry, finora apparso impegnato solo a guadagnare consensi internazionali all’ipotesi di un intervento militare, ha detto questa mattina da Londra che il presidente Siriano Assad potrebbe «evitare un attacco consegnando le sue armi chimiche alla comunità internazionale entro la settimana prossima», pur aggiungendo che Assad «non sembra sul punto di farlo». Il tono è quello di un'ultimatum, ma resta il fatto che per la prima volta c'è un'ipotesi statunitense diversa da quella dell'intervento armato. Un intervento che potrebbe avere conseguenze negative incalxcolabili in tutto il Medio Oriente, come ha ricordato ancora una volta oggi l'Onu, con l'altro commissario per i diritti umani, Navathem Pillay, secondo la quale
Il presidente siriano continua a negare che il suo esercito abbia mai fatto uso di armi chimiche. In un'intervista all'emittente televisiva statunitense Cbs, ha affermato che non ci sono prove delle accuse mossegli e ha prospettato, in caso di aggressione alla Siria, ritorsioni da parte di quanti della Siria sono amici, in quello che sembra un riferimento all'Iran e al movimento sciita libanese Hezbollah, ma forse anche alla Russia. Il presidente siriano ha aggiunto che un attacco potrebbe diminuire le capacità delle sue truppe, ma favorire allo stesso tempo i fondamentalisti islamici. Kerry, ha risposto che Assad mente e che Washington avrebbe le prove di uso di armi chimiche da parte delle forze siriane «almeno undici volte», non solo cioè nell'attacco del 21 agosto al quale i ribelli attribuiscono le sconvolgenti immagini diffuse sui social network.
Nel frattempo, il presidente Obama intensifica il confronto con il Congresso, in vista del voto, mercoledì, sulla risoluzione da lui presentata riguardo alla Siria. Obama darà oggi un’intervista a sei televisioni statunitensi e domani terrà un discorso alla Nazione, per spiegare la sua posizione a una cittadinanza che tutti i sondaggi danno in maggioranza contraria all’intervento militare. Lo stesso Kerry — incontrando ieri a Parigi i capi delle diplomazie di vari Paesi arabi e i rappresentanti della Lega araba — ha comunque dichiarato che Obama non ha ancora preso alcuna decisione e non ha escluso che gli Stati Uniti, oltre ad attendere il rapporto degli ispettori dell'Onu, possano sottoporre le prove in loro possesso al Consiglio di sicurezza, come sollecitato anche dalla Francia, finora unico Paese europeo dichiaratosi disposto a partecipare a un intervento in Siria.
Oggi a Mosca, intanto, il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov, in una conferenza stampa congiunta con il suo omologo siriano, Walid Al Muallim, ha prospettato una riunione nella capitale russa di tutti i soggetti decisi a perseguire una soluzione politica alla crisi.
Tra le poche notizie positive giunta dalla Siria, c’è intanto quella della liberazione, dopo cinque mesi, del giornalista italiano Domenico Quirico e dello scrittore belga Pierre Piccinin da Prata, già rientrati in patria. I due erano stati sequestrati da ribelli siriani islamisti.
Proprio miliziani islamisti del gruppo Jabhat al Nusra, in gran parte né siriani né arabi, hanno occupato la cittadina di Maalula, considerata il simbolo della presenza cristiana in Siria. È infatti fallito un tentativo di riassumerne il controllo da parte dell'esercito, che è solo riuscito a portare in salvo gran parte dei cristiani. Sembra però accertato che i ribelli, oltre a danneggiare chiese e monasteri, abbiano ucciso non meno di una decina di uomini della comunità cristiana.