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Il Papa, la Siria e il fallimento del G20

Il Papa, la  Siria e il fallimento del G20 - Pierluigi Natalia

  

Catene d'impegno

  

per la pace

  

  

7 settembre 2013


  

«Una catena di impegno per la pace unisca tutti gli uomini e le donne di buona volontà!»: alla sollecitazione reiterata da Papa Francesco con tweet diffuso attraverso l’account @Pontifex, risponde in n queste ore in tutto il mondo una mobilitazione disarmata di cuori e di ostinata speranza. sebbene 'incontro tra i “grandi della terra”, nel vertice del G20 concluso ieri a San Pietroburgo, non abbia portato un superamento delle divergenze sulla Siria, né la presa d'atto che con le armi non si costruisce civiltà e consenso dei popoli. Le migliaia di persone attese stasera in Piazza San Pietro, per la veglia a conclusione della giornata di digiuno e di preghiera voluta dal Papa, sono una piccola parte dei milioni decisi a non accettare la presunta inevitabilità della violenza. E a quei milioni e milioni l'incontro darà una visibilità che Governi e Parlamenti non possono ignorare.

 

La crisi siriana ha dominato il vertice del G20, ma nel documento finale non ve ne è traccia. Il presidente statunitense Barack Obama sembra comunque intenzionato a ordinare un attacco che molti, a partire dalla Russia, in assenza di un’autorizzazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite considererebbero un’aggressione. Nella conferenza stampa tenuta prima di ripartire da San Pietroburgo, Obama ha annunciato che martedì, alla vigilia della riapertura del Congresso, parlerà alla Nazione per spiegare le sue scelte, sulle quali si sta ancora confrontando con il Congresso stesso. «Ci sono momenti in cui bisogna fare scelte difficili e questo è uno di quelli», ha detto, sostenendo che il suo ruolo gli impone di agire anche se è «impopolare» farlo, perché di fronte all’uso di armi chimiche contro civili e bambini non ci si può limitare a reazioni di condanna. Secondo il presidente statunitense, l’Onu non dovrebbe trasformarsi in una «barriera per non agire». In proposito, Obama ha ricordato come molti abbiano accusato gli Stati Uniti e la comunità internazionale di non aver impedito il genocidio in Rwanda del 1994.

 

Il presidente degli Stati Uniti però evitato di rispondere a domande sulla possibilità, che la Costituzione gli consente, di procedere con un attacco militare anche se il Congresso dovesse negargli appoggio. Si tratta di una prospettiva non aleatoria: secondo la stampa statunitense sono ancora in maggioranza al Senato e alla Camera dei rappresentanti quanti si oppongono all’intervento. «Non voglio fare speculazioni sull’approvazione o meno, mentre è in corso il dibattito», si è limitato a rispondere Obama.

 

Il presidente russo, Vladimir Putin, pur definendo «amichevole e costruttivo» il breve colloquio bilaterale avuto con Obama al termine del summit, ha prospettato per la prima volta di schierarsi a difesa del Governo siriano del presidente Bashar Al Assad, in caso di attacco straniero. Secondo il leader del Cremlino, Paesi che intervenissero militarmente in Siria «si porrebbero al di fuori del diritto», in quanto non si tratterebbe di autodifesa e in ogni caso occorrerebbe la «preventiva approvazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite».

 

La contrapposizione tra i leader di Washington e di Mosca è profonda anche sulla questione cruciale dell’uso di armi chimiche in Siria, Obama ha ribadito la certezza di Washington che la responsabilità vada all’esercito siriano, mentre Putin è tornato ad accusare i ribelli, sostenendo che l’impiego di gas nervini alla periferia di Damasco il 21 agosto è «una provocazione da parte di combattenti che sperano di ottenere aiuto dall’esterno».

 

Obama è comunque riuscito a ottenere la firma di 11 Paesi su 19 (il ventesimo membro del g20 è l’Unione europea) su una dichiarazione in cui si condanna con forza l’uso di armi chimiche, si parla di responsabilità di Assad in base ai «primi indizi» e si chiede «una risposta internazionale forte». Ma la dichiarazione non afferma che tale forza debba essere quella delle armi. Anche il presidente francese, François Hollande, che finora si è sempre detto pronto all’intervento militare, ha dichiarato ieri che in ogni caso bisogna attendere il rapporto degli ispettori dell’Onu sull’uso delle armi chimiche in Siria, un rapporto che la Germania ha chiesto di accelerare.

 

Nel frattempo, si è conclusa a Damasco la visita di Valerie Amos, responsabile degli interventi umanitari dell’Onu. Amos ha dichiarato di avere avuto incontri positivi con esponenti del Governo. «La Siria sta affrontando una crisi umanitaria senza precedenti» ha detto, ricordando che oltre quattro milioni di persone sono sfollate all’interno del Paese e più di due milioni si sono dovute rifugiare all’estero. In tutto un terzo della popolazione ha urgente bisogno di aiuto.