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La missione a Riad

La missione a Riad - Pierluigi Natalia

Obama evita

 

di aumentare

 

le armi in Siria

 

 

29 marzo 2014 

 

Gli Stati Uniti intendono continuare a cooperare con l’Arabia Saudita per rafforzare l’opposizione siriana al presidente Bashar Al Assad e per arrivare a una transizione politica nel Paese precipitato da oltre tre anni nella guerra civile. Tuttavia, almeno per ora, Washington non darà il via libera alla consegna di armi sofisticate ai ribelli siriani per il timore che finiscano nelle mani di gruppi estremisti. È questa, secondo fonti della Casa Bianca, la posizione espressa dal presidente Barack Obama nella missione che lo ha condotto ieri sera a Riad, dove ha incontrato il re Abdullah bin Abdelaziz.

Tutti i commentatori internazionali sottolineano che lo scopo della visita è stato mettere fine ai contrasti — soprattutto in merito alla vicenda siriana, oltre che alla questione del nucleare iraniano — che hanno segnato negli ultimi mesi i rapporti tra i due alleati.

Già a bordo dell’aereo presidenziale che conduceva Obama da Roma a Riad, peraltro, il consigliere per la sicurezza nazionale Benjamin Rhodes aveva detto ai giornalisti che le relazioni tra Stati Uniti e Arabia Saudita «sono migliori oggi di quanto lo fossero lo scorso autunno», quando tra i due Governi c’erano state forti divergenze su come affrontare il conflitto siriano.

Riguardo alle forniture ai ribelli siriani di sistemi d’arma complessi, chieste dall’Arabia Saudita e ancora ieri ritenute possibili se non imminenti da fonti di stampa statunitensi, lo stesso Rhodes le aveva decisamente escluse. Il consigliere per la sicurezza nazionale aveva confermato che che rimangono intatte le inquietudini per i rischi di proliferazione del conflitto che l’introduzione di queste armi in Siria comporterebbe e aveva anticipato che durante la visita a Riad non ci sarebbero stati annunci di aiuti militari supplementari ai gruppi armati insorti contro il Governo di Damasco.

Così è stato e, più in generale, Obama è ripartito senza che siano state rilasciate dichiarazioni congiunte dopo l’incontro con re Abdullah. Dopo il colloquio, comunque, fonti della delegazione statunitense hanno ribadito che si è in presenza di differenze tattiche e contingenti, mentre c’è piena condivisione degli obiettivi strategici.

Per quanto riguarda la questione iraniana, il presidente statunitense ha chiarito che non accetterà «un cattivo accordo» con Teheran. Le autorità saudite negli ultimi mesi non hanno nascosto le loro preoccupazioni per i negoziati sul nucleare iraniano, ai quali partecipano gli Stati Uniti, e, più in generale, il timore di un possibile riavvicinamento dell’amministrazione di Washington all’Iran, la potenza sciita che nella regione è la principale rivale dell’Arabia Saudita, di confessione sunnita.

Anche in questo senso ci sono state rassicurazioni di Obama all’alleato saudita. Sempre Rhodes aveva anticipato l’intenzione del presidente di ribadire a re Abdullah che i negoziati in corso con Teheran non significano la cancellazione dei timori di Washington per le politiche dell’Iran. Secondo Rhodes, questo comprende il sostegno iraniano al presidente siriano Al Assad e al movimento sciita libanese Hezbollah, oltre a quella che ha definito influenza destabilizzatrice nello Yemen e nei Paesi del Golfo persico.

Il Consiglio dell’Onu per i Diritti dell’uomo, intanto, ha approvato ieri a Ginevra una risoluzione che rinnova per un anno il mandato della commissione di inchiesta sulle violazioni in Siria. Approvata con 32 voti a favore, 4 contrari (Russia, Venezuela, Cina e Cuba) e 11 astensioni, la risoluzione chiede alla commissione d’inchiesta, istituita dallo stesso Consiglio nell’agosto del 2011, di presentare rapporti e aggiornamenti alle prossime sessioni.

 Il testo condanna «le gravi, sistematiche e diffuse violazioni dei diritti umani e tutte le violazioni del diritto internazionale umanitario da parte delle autorità siriane e delle milizie a loro affiliate». Inoltre, parla di «notizie credibili di migliaia di detenuti che potrebbero essere morti nelle carceri del governo come conseguenza di fame e di tortura» e chiede la liberazione di tutte le persone arbitrariamente detenute. La risoluzione esprime al tempo stesso «grave preoccupazione per il diffondersi di gruppi estremisti» e anche in questo caso «condanna fermamente tutte le loro violazioni dei diritti umani e violazioni del diritto umanitario internazionale».

La commissione d’inchiesta è presieduta dal brasiliano Paulo Pinheiro e composta dalla statunitense Karen Koning, dalla svizzera Carla del Ponte e dal thailandese Vitit Muntarbhorn. Le autorità siriane non hanno finora autorizzato l’ingresso della commissione all’interno del Paese, ma i suoi membri hanno potuto raccogliere materiale, prove e testimonianze per documentare in diversi rapporti la gravità dei crimini commessi in Siria in più di tre anni di conflitto. La commissione ha inoltre elaborato una lista, mantenuta segreta, di presunti responsabili dei crimini di guerra e contro l’umanità denunciati nei rapporti.

Le conseguenze del conflitto continuano ad avere anche sotto questo aspetto conseguenze pesantissime sulle popolazioni, stremate da oltre tre anni di conflitto. Proprio ieri, diverse organizzazioni non governative hanno rivolto un nuovo appello al Consiglio di sicurezza dell’Onu affinché implementi l’aiuto umanitario.

Sui fronti siriani, intanto, i combattimenti non s’interrompono. Tra l’altro, ieri l’agenzia di stampa Fides ha confermato che all’inizio della settimana è stata colpita da un razzo la chiesa della Santissima Trinità ad Aleppo, mentre all’interno i fedeli cattolici armeni partecipavano alla messa quotidiana. L’edificio sacro è stato coinvolto in un attacco sferrato contro il quartiere di al Meydan. Il razzo ha danneggiato la cupola e infranto le vetrate, ma non ha provocato danni a persone.

Di una possibile tregua nell’area di Damasco hanno parlato fonti citate dall’emittente televisiva Al Arabya, secondo le quali sarebbero in corso in queste ore trattative tra i ribelli e le truppe governative per arrivare a un cessate il fuoco. L’intesa prevederebbe il ritiro dei combattenti dell’opposizione verso la città di Deraa.