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Le tragedie delle migrazioni

Le tragedie delle migrazioni - Pierluigi Natalia

  

Filo

  

spinato

 

5 novembre 2013

 

Commozione per i migranti morti in mare. Commozione per quelli uccisi da deserto. Ma sempre filo spinato alle frontiere. Accade in tutto il mondo e accade in Europa, anche in quel suo spicchio in terra africana rappresentato dalle enclavi spagnole di Melilla e Ceuta in territorio marocchino. Il Governo di Madrid ha deciso anzi di rafforzare le recinzioni per contrastare i frequenti tentativi di varcare il confine messi in atto dai migranti, provenienti in massima parte da Paesi subsahariani devastati da guerre e carestie. A Melilla, nell'ennesimo tentativo del genere, oggi è morto un uomo  quattro sono stati feriti.

Poche ore prima, dal sudest asiatico era arrivata la notizia di un'altra tragedia. Le vittime appartenevano all'etnia musulmana dei rohingya, una popolazione del Myanmar considerata dai rapporti dell'Onu la meno tutelata e insieme la più perseguitata in tutta l’Asia, dove pure non mancano casi eclatanti di violenze di matrice etnica e religiosa. Sono circa 800.000 persone, in gran parte rinchiuse in condizioni disperate nei campi profughi. Ogni anno, con la fine della stagione monsonica, in centinaia cercano di lasciare le coste di quella che una volta si chiamava Birmania su imbarcazioni di fortuna dirette verso la Malaysia, l'Indonesia o addirittura la più lontana Australia, un Paese dove si vincono le elezioni su programmi di drastico respingimento di migranti e profughi. Era una barca fatiscente anche quella affondata al largo della provincia nordoccidentale del Rakhine. Delle circa sessanta persone a bordo, solo sette sono state tratte in salvo. Guardacoste, volontari di organizzazioni non governative e parenti dei dispersi sono tuttora impegnati nella ricerca in mare di eventuali superstiti. Ma le speranza sono ormai talmente flebili da risultare mere illusioni.

Cosa accomuna i rohingya ai tanti i subsahariani? La fuga e il terrore. Duecento milioni di persone nel mondo vivono la condizione della fuga, per fame, per guerra, per persecuzione. E per cucire cucire insieme le loro storie, troppo spesso, la parte ricca del mondo usa un filo spinato.