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Milioni di cristiani esposti a violenze

La Chiesa nel mirino

Maggio 2019

 I cristiani, in particolare i cattolici, sono destinati a essere perseguitati in quanto tali? Basta leggere i Vangelo per sapere che la risposta è si (“Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e diranno, mentendo, ogni sorta di male contro di voi per causa mia”, Mt 5,11). Meno facile è stabilire se le violenze che subiscono un po' in tutto il mondo siano originate davvero da odio del dettato evangelico.

E allora forse è il caso di cercare di comprendere un po' meglio di cosa si stia parlando. I temi sono due: il fordamentalismo di matrice pseudo religiosa e l'uso strumentale della religione per fini di potere nazionalistici.

A saper leggere i fatti – e i numeri – entrambi gli aspetti sono riscontrabili, ma il secondo è preponderante, con buona pace di una “narrazione” insistente da decenni in Occidente e impastata di pregiudizi, a partire da quell'islamofobia che si è sommata all'antisemitismo e che di questo è oggi ancora più evidente. Si pensi, solo per un esempio, alla violenza contro le donne. "A me non piace parlare di violenza islamica, perché tutti i giorni quando sfoglio i giornali vedo violenze, qui in Italia (…) di cattolici battezzati. Se parlassi di violenza islamica dovrei parlare anche di violenza cattolica?”. Prima che quanche lettore insorga, è meglio precisare che quelle virgolettate non sono parole dell'autore di questo articolo, ma di Papa Francesco. Né mancano infiniti pronunciamenti, di questo Papa come dei suoi predecessori, che ribadiscono inconcepibile con l'identità cattolica attribuire colpe a chicchessia in ragione della sua religione, con buona pace di chi considera armi o alibi vangeli e rosari e come altre armi li sbandiera. È questo strabismo etico e culturale che la Chiesa e il Papa cercano di contrastare, spesso senza riuscirvi, proprio in Occidente, in quei Paesi che a chiacchiere rivendicano radici cristiane, primato della democrazia e tutela dei diritti umani.

Sono in molti a fare della religione uno strumento di odio, in casa nostra come in tutto il mondo. La maggior parte delle persone uccise in azioni di terrorismo di matrice islamista non erano cristiane o ebree o buddiste o induiste: erano musulmane. Il che la dice lunga sulla pretestuosità di tale matrice. La maggior parte delle violenze “politiche” sono figlie dei nazionalismi, non del credo religioso. E sono figlie, in quest'epoca di pensiero debole e di comunicazione drogata, della necessità dell'odio di farsi conoscere e di fare propaganda e proselitismo. Del resto, una strage in una chiesa o il sequestro e magari l'uccisione di un prete, meglio se occidentale, trovano uno spazio mediatico infinitamente maggiore di violenze anche più efferate perpetrate ai danni, magari, di popolazioni intere del sud devastato del mondo. Ed è questa una delle cause principali che spingono i terrosti ad attaccare i luoghi di culto e le comunità cristiane con sistematica continuità, in tante e tanto diverse parti del mondo.

In ogni caso, violenze e persecuzioni contro i cristiani, specialmente cattolici, sono un fatto. E nei primi mesi del 2019 si è ingigantito ulteriormente, con l'episodio più sanguinoso di sempre perpetrato nello Sri Lanka il giorno di Pasqua, quando attacchi terroristici hanno provocato a chiese cattoliche e ad albergi hanno trecento morti, più ancora cioè di quello all'alba del Giovedì Santo del 2015, quando nel campus di una scuola salesiana del Kenya un commando armato fece irruzione uccidendo, in sedici e di sparatorie ed esplosioni, 147 persone, in gran parte studenti di fede cattolica.

Si era nel periodo di Pasqua anche il 27 marzo 2016, quando più di settanta persone, compresi molti bambini, furono uccise da due attentatori suicidi durante una celebrazione in un parco affollato a Lahore, la maggiore città del Pakistan orientale. Ed era la Domenica delle Palme il 9 aprile 2017, quando in quarantacinque morti provocarono altri due terroristi suicidi in due contemporanei attentati in Egitto, uno vicino a una chiesa copta a Tanta, a nord del Cairo, e un altro ad Alessandria. E più in generale, tra il 2016 e il 2018 in Egitto si sono registrati cinque gravi attentati; l’ultimo, lo scorso 2 novembre, al bus di pellegrini copti a Minya. Un’ulteriore piaga che affligge la comunità cristiana egiziana è il rapimento e la conversione forzata all’Islam di adolescenti, ragazze e donne cristiane. Stessa sorte spetta ogni anno a circa mille ragazze cristiane e hindu in Pakistan.

Era Paqua anche l’8 aprile 2012, quando ci furono 41 morti per l’esplosione di un’autobomba vicino a una chiesa di Kaduna, nel nord della Nigeria, dove è attivo il gruppo islamista Boko Haram, che ha la sua ispirazione originale nel rifiuto di tutto quanto considera imposizione culturale dell'Occidente, compresa la scuola, e ovviamente il cristianesimo (e, per inciso, l'identificazione proclamata da molti gruppi terroristi tra cristianesimo e Occidente, sembra palese anche nella strage di Pasqua nello Sri Lanka, dove insieme alle chiese cattoliche sono stati presi dei mira alberghi frequentati da turisti occidentali).

 Secondo l'ultima World Watch List, il rapporto sulla persecuzione anti-cristiana nel mondo pubblicato dell'organizzazione non governativa Porte Aperte, i morti sono stati 4.305 nel 2018, in crescita rispetto ai 3.066 del 2017, e i sono 245 milioni i cristiani perseguitati in diversa misura, dalla discriminazione culturale e sociale, al disconoscimento familiare, dalla privazione di lavoro e di reddito fino ad abusi fisici, torture, rapimenti, mutilazioni, distruzione di proprietà, imprigionamenti, assassini. Sui 150 Paesi monitorati, 73 hanno mostrato un livello di persecuzione definibile alta, molto alta o estrema, mentre nel 2017 erano 58. Corea del Nord (primo posto), Afghanistan (secondo), Somalia (terzo), Libia (quarto) vengono ritenuti dal rapporto i Paesi dove la vita per i cristiani è più difficile. In Asia, incluso il Medio Oriente un cristiano su tre è definibile perseguitato. Il maggior numero di vittime c'è stato in Nigeria, non solo per mano di Boko Haran ma anche negli scontri tra pastori pastori fulan e agricoltori, nei quali peraltro il fatto che i primi siano musulmani e gli altri cristiani sembra avere un valore relativo.

Parametri probabilmente diversi sono alla base dei dati contenuti nell'ultimo rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre, peraltro fotografa la situazione al giugno del 2018. Gli Stati identificati come teatro di “gravi o estreme violazioni” contro i cristiani sono 38. Tra questi, 21 vengono classificati come Paesi di persecuzione: Afghanistan, Arabia Saudita, Bangladesh, Birmania, Cina, Corea del Nord, Eritrea, India, Indonesia, Iraq, Libia, Niger, Nigeria, Pakistan, Palestina, Siria, Somalia, Sudan, Turkmenistan, Uzbekistan e Yemen. Sono invece luoghi di discriminazione gli altri 17: Algeria, Azerbaigian, Bhutan, Brunei, Egitto, Federazione Russa, Iran, Kazakistan, Kirghizistan, Laos, Maldive, Mauritania, Qatar, Tagikistan, Turchia, Ucraina e Vietnam.

Il primo dato che balza agli occhi che nell'elenco non figurano Paesi americani e che gli unici europei presi in considerazione sono Russia, Azerbaigian e Ucraina. E questo porta al secondo tema che bisogna considerare come origine della condizione di svantaggio dei cristiani (almeno di quelli che il Vangelo cercano di prenderlo sul serio). Nelle Americhe, a nord, al centro e al sud, come in Europa, non si può certo sventolare la bandiera della “lotta all'imperialismo crociato”, semmai si sventola quella opposta.

Al tempo stesso, il rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre evidenzia la “cortina di indifferenza” dietro la quale “le vulnerabili comunità di fede continuano a soffrire”, ignorate “da un Occidente secolarizzato”.

E non è un caso se proprio la Chiesa, con la sua scelta valoriale universale e con la sua opzione privilegiata per i poveri - quei poveri che secondo Papa Francesco sono la carne di Cristo (omelia alla veglia di Pentecoste del 2013) - sia un nemico da screditare e da combattere per quelle forze nazionaliste, o sovraniste come si dice oggi, che trovano purtroppo sempre più consenso alle loro posizioni discriminatorie quando non apertamente razziste.

Quando il più classico degli schemi capitalisti, cioè la moltiplicazione artificiosa e pervasiva dei falsi bisogni per aumentare i consumi, trova nei periodi di crisi lo sgretolamento dell'accesso ai beni primari, lavoro, casa, sanità, scuola, la risposta è sempre quella altrettanto classica di alimentare e cavalcare la paura e di indirizzare le tensioni contro un presunto nemico esterno o, all'interno, contro le minoranze, sociali, politiche, etniche o religiose che siano, considerate estranee a un ipotetico sentimento comune. Non a caso, proprio a questo fa riferimento il rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre riguardo ai due più popolosi Paesi del mondo. In India, lo studio riferisce che tra il 2016 e il 2017 gli attacchi anticristiani, principalmente da parte di gruppi estremisti hindu, sono quasi raddoppiati, rispetto al biennio precedente, raggiungendo quota 736. Ma anche qui, il fattore religioso sembra secondario, se è vero che membri del Parlamento nazionale – nel subcontinenelte indiano delle mille etnie – ancora di recente hanno dichiarato che l'esistenza delle minoranze “nuoce all'unità del Paese.

Quanto alla Cina, il rapporto è stato stilato prima della per ora iniziale ripresa di dialogo tra il Governo di Pechino e la Santa Sede, dalla quale si attendono sviluppi positivi sul piano della difesa dei diritti umani, compreso dello di libertà di culto. In ogni caso, al giugno scorso la situazione descritta da Aiuto alla Chiesa che soffre mostrava che in Cina l’ultra-nazionalismo si manifesta come “generale ostilità dello Stato nei confronti di tutte le fedi”. Di qui le misure restrittive assunte dal Governo del presidente Xi Jinping tra cui la proibizione della vendita on line della Bibbia. Per non parlare delle chiese distrutte o gravemente danneggiate, da 1.500 a 1.700 tra il 2014 e il 2016.

E se una componente prioritaria di odio religioso può registrarsi in alcuni dei cinque Paesi - Corea del Nord, Arabia Saudita, Nigeria, Afghanistan ed Eritrea – definiti quelli dove la persecuzione “manifesta il suo volto più crudele”, lo stesso non vale per altri. A meno di non sostenere che anche in Corea del Nord sempre di guerra di religione si tratta, dato che la presenza di cristiani, decine di migliaia dei quali si stimano detenuti in campi di prigionia e di lavoro forzato, costituisce una minaccia al culto di Stato, quello dei Kim, padre, figlio e ora nipote. Persino per la Turchia di Erdocan, l'islamismo è un modo di declinare soprattutto il nazionalismo, la violenta contrapposizione con altre popolazioni che abitano gli stessi territori dei turchi. E se di guerra di religione bisogna proprio parlare, si tratta di una guerra confessionale tra musulmani, tra i sunniti ai quali Erdocan appartiene e gli sciiti.

E anche per il Pakistan, dove secondo Porte Aperte la persecuzione ha i connotati più violenti in assoluto. alcuni dei commentatori più attenti ritengono dovuti più a questioni di potere nazionalistico interno che a radicalismo islamico tout court l'abolizione del ministero per le minoranze religiose e l'opposizione crescente a ogni modifica della controversa legge sulla blasfemia. Così come la religione sembra essere l'ultimo dei motivi per i quali in Myanmar da settembre del 2017 al giugno del 2018 quasi settecentomila musulmani Rohingya siano stati costretti a fuggire in Bangladesh da quella che l’Alto Commissariato dell'Onu per i diritti umani definisce “pulizia etnica da manuale”. E qui ci sarebbe da dire molto su come esponenti anche di rilievo della Chiesa cattolica locale abbiano apertamente contestato la vicinanza mostrata ai Rohingya da Papa Francesco durante la sua visita in Myanmar, sostenendo che avrebbe dovuto occuparsi prima (ma intendevano Solo) solo delle persecuzioni subite dai cattolici.

Già, “prima i miei”, “prima gli italiani” (o gli statunitensi o gli ungheri o chiunque altro), “prima i veri credenti” (sunniti o sciiti a seconda dei casi), “prima i figli maschi” e chi più ne ha più ne metta, è un modo per dire “soltanto”.

Se Francesco non piace a molti battezzati è soprattutto per questo, perchè rifiuta l'idea di un “mondo cattolico” contrapposto ad altri mondi. Rifiuta ogni collateralismo con i conflitti. Né ammette gerarchie tra “valori non negoziabili” (che peraltro non ha mai chiamato in questo modo). Perchè la vita non si può difendere solo al momento del concepimento e a quello della fine naturale, ma in ogni sua fase. Il cattolico non può difendere il feto e non lo straniero che cerca su un barcone scampo dalla violenza o dalla fame, non può affermare la sacralita della vita del malato terminare e poi flirtare con quei “benpensanti” che a ogni notizia di violenza invocano la pena di morte.

Soprattutto, il Papa ha ben chiara l'esegesi su Gesù risorto che ci precede in Galilea. Cioè in quella che al tempo della sua incarnazione molti in Israele consideravano una sorta di terra diversa, una terra di chi non è completamente puro. E se non lo era Gesù, il galileo, è almeno un po' strano che ritengano di esserlo quanti si professano suoi fedeli.