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Sempre più persone premono sui confini

Sempre più persone premono sui confini - Pierluigi Natalia

  

Migranti in un mondo  

di guerra e di fame

  

5 settembre 2014

Il fenomeno della mobilità umana è sempre più ingigantito da una condizione mondiale segnata dalla fame e dalla guerra. Flussi ogni giorno maggiori di migranti per motivi economici e di profughi per le situazioni di conflitto premono sui confini di numerosi Paesi. I flussi più rilevanti sono quelli cosiddetti tra sud e sud (cioè da Paesi poveri ad altri Paesi poveri) con conseguenze sempre più drammatiche per la tenuta delle società dove arrivano migranti e profughi. L’esempio più evidente di questi ultimi anni è dato dal conflitto siriano, che ha visto oltre tre milioni di profughi riversarsi in pratica quasi completamente in Libano, Giordania e Turchia. Ma altrettanto avviene nelle diverse, spesso incancrenite crisi africane. Basti pensare ai milioni di profughi somali in Kenya o a quelli sudanesi nei Paesi confinanti o ai continui movimenti di popolazioni nel Sahel, nella regione dei Grandi Laghi, nel golfo di Guinea e in altre aree del continente.

Preoccupante, al tempo stesso, è anche la situazione in America, soprattutto al confine tra Messico e Stati Uniti, dove uno dei tanti muri della vergogna ancora presenti nel mondo si spinge fino in mare, sulle frontiere marittime meridionali e su quelle terrestri orientali europee, nel sud-est asiatico e in generale negli oceani Indiano e Pacifico.

Tra i milioni e milioni di persone coinvolte in questo epocale e tragico fenomeno aumenta la percentuale di bambini, spesso non accompagnati. Per esempio, sono stati oltre 66.000 i bambini migranti arrestati per aver attraversato illegalmente la frontiera fra Messico e Stati Uniti in questo anno fiscale, iniziato nell’ottobre scorso, con un aumento dell’88 per cento rispetto all’anno precedente. I numeri forniti dal Dipartimento della sicurezza nazionale statunitense riguardano minori non accompagnati originari prevalentemente dell’America centrale: quelli fermati ad agosto dalla Border Patrol, la polizia di frontiera, provenivano in maggioranza da El Salvador, Guatemala e Honduras, oltre che dallo stesso Messico. Rispetto ai mesi precedenti, le statistiche mostrano un calo nell’affluenza dall’Honduras, che finora era invece in testa alla lista per numero di bambini migranti. A proposito di questa emergenza, il presidente statunitense Barack Obama ha parlato di una crisi umanitaria, chiedendo al Congresso di stanziare fondi per 3,7 miliardi di dollari per farle fronte, ma finora senza risultati.

Da parte loro, i presidenti dei Paesi dell’America centrale hanno chiesto alla Casa Bianca un piano di aiuti per consentire alla regione di lottare con più efficacia contro l’insicurezza e il narcotraffico che spingono un crescente numero di adulti, giovani e bambini a migrare verso la frontiera statunitense.

L’emigrazione resta la sola via possibile anche per i cittadini di molti Paesi risparmiati dalla guerra o dalle violenze della malavita, ma stremati da povertà e discriminazioni sociali. È il caso, per esempio, del Bangladesh, dove sono almeno cinque milioni i lavoratori emigrati, su 156 milioni di abitanti. In molti casi, come sempre accaduto anche in Paesi che oggi sono a pieno titolo nella parte ricca del mondo, le rimesse di questi migranti rappresentano una voce rilevante per l’economia del Paese d’origine. Secondo una recente ricerca dell’università di Dhaka, le rimesse degli immigrati, che nel 2010, ultimo anno con dati disponibili, hanno raggiunto gli 11 miliardi di dollari, rappresentano la principale fonte di sostentamento per molte comunità prive altrimenti di risorse.