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Si valuta un’amnistia per Boko Haram

Si valuta un’amnistia per  Boko Haram - Pierluigi Natalia


Nigeria in cerca

  

di dialogo

  

  

7 novembre 2013


 

La crisi in atto da anni nel nord-est della Nigeria ha assunto sempre più la caratteristica di una guerra civile di fatto, con stragi ormai quotidiane. Da maggio scorso, il Governo sta dando una risposta militare alla sfida del gruppo di matrice fondamentalista islamica Boko Haram, responsabile dal 2009 di attacchi e attentati terroristici che hanno provocato oltre tremila vittime, in massima parte tra la popolazione civile. Il presidente Goodluck Jonathan ha proclamato lo stato d’assedio in tre Stati, il Borno, dove Boko Haram ha le sue tradizionali roccaforti, lo Yobe e l’Adamawa, e vi ha inviato l’esercito. Alle forze governative si sono poi affiancate, in molte località, milizie civili di autodifesa. Il risultato, finora, è stato solo un inasprimento delle violenze.

Le prospettive di un successo militare, come spesso nelle crisi africane, risultano almeno aleatorie. Incomincia a prenderne atto lo stesso Governo di Abuja. Proprio in questi giorni è stato consegnato al presidente Jonathan un rapporto sulla possibilità di un programma di amnistia che consenta di mettere fine agli attacchi e agli attentati di Boko Haram. Il punto centrale del documento è l’invito a tentare con determinazione la via del negoziato. Il quotidiano «The Vanguard», nel darne notizia, ha sottolineato che il rapporto è frutto di circa sei mesi di lavoro di un comitato costituito dal Governo in aprile. Il presidente dell’organismo, Kabiru Turaki, ha riferito che durante questo periodo è stato possibile stabilire contatti con diverse fazioni di Boko Haram. Alcune di loro, ha detto, avrebbero «accettato il dialogo come via per la piena risoluzione del conflitto».

Le raccomandazioni contenute nel rapporto sono state accettate da Jonathan. Il presidente ha annunciato l’imminente creazione di un nuovo comitato incaricato di condurre un negoziato, sottolineando che «da sola la forza non può portare la pace». Un modo, a giudizio di molti osservatori, di prendere le distanze dalla sua stessa decisione, in maggio, di inviare l’esercito contro Boko Haram.

Dell’ipotesi di un’amnistia a beneficio dei militanti del gruppo armato disposti a rinunciare alla violenza si era parlato con insistenza almeno dallo scorso marzo, dopo una proposta in questo senso fatta dal sultano di Sokoto Alhaji Mohammad Saad Abubakar iii, la massima autorità dell’islam nigeriano. Il religioso aveva chiesto di «porre fine a una guerra senza fine», adottando misure simili a quelle che dal 2009 avevano riguardato i militanti dei gruppi armati della regione meridionale del Delta del Niger, a sua volta teatro di una crisi, legata al controllo delle risorse petrolifere, che si protrae fin dall’epoca del colonialismo.

Anche in questo caso, peraltro, la crisi è tutt’altro che definitivamente risolta, se non altro perché il controllo delle immense ricchezze petrolifere è rimasto in massima parte nelle mani di multinazionali straniere, mentre le popolazioni locali vedono se possibile peggiorare continuamente le loro condizioni, per non parlare delle devastazioni ambientali di un territorio ormai compromesso dallo sfruttamento senza controllo. Ma in ogni caso, le soluzioni che si cercano nel Delta del Niger sono ormai di tipo politico ed economico.

Ma c’è un altro insegnamento da trarre dalla crisi nel nord-est della Nigeria e cioè che il fondamentalismo islamico in Africa non è sempre derubricabile al mero aspetto del terrorismo internazionale. La crisi innescata nel 2009 dall’inizio degli attacchi di Boko Haram, infatti, ha connotati propri e contesto meno internazionalizzato di altre. In Boko Haram, per esempio, non risultano miliziani provenienti da altri Paesi, come accade tra le forze ribelli di altre aree di crisi africane, dal Mali alla Somalia, alla Repubblica Centroafricana. Al tempo stesso, in Nigeria si è evitato, almeno finora, il coinvolgimento — diretto o indiretto — di potenze straniere, l’opposizione alle quali è da un ventennio almeno il principale argomento della propaganda fondamentalista islamica (per esempio, il nome Boko Haram fa riferimento al fatto che l’educazione di tipo occidentale sarebbe peccaminosa per un musulmano, posizione che l’islam africano ha sempre rifiutato).

Ma le crisi irrisolte incancreniscono e segnali in questo senso ci sono anche in Nigeria. Nel nord-est del Paese si è assistito, infatti, a un mutamento di strategie che fa pensare a un disegno più ampio. I primi attacchi di Boko Haram avevano avuto come bersaglio strutture governative, in particolare commissariati di polizia, e interessi occidentali. Ben presto, però, le violenze si sono concentrate sulle comunità religiose, soprattutto cristiane, ma anche islamiche che rifiutano il fondamentalismo omicida. Lo stesso sultano di Sokoto è stato fatto bersaglio di attacchi. La speranza è che la decisione di Jonathan di recepire le indicazioni del comitato guidato da Turaki si traduca in passi concreti. Già troppe volte, infatti, gli sforzi di favorire un dialogo sono stati bruscamente vanificati, lasciando irrisolti problemi che sono essenzialmente sociali ed economici.