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Vent'anni dopo la fallimentare missione Restore Hope

Vent'anni dopo la fallimentare missione Restore Hope - Pierluigi Natalia

  

Soldati americani

 

a Mogadiscio

  

10 gennaio 2014


Un piccolo numero di soldati statunitensi,  non più di una ventina, sono dislocati dallo scorso autunno a Mogadiscio  con il ruolo di consiglieri militari del Governo locale e dell’Amisom, la missione dell’Unione africana in Somalia. La notizia, diffusa ieri dal quotidiano  «The Washington Post», che cita come fonti tre ufficiali coperti da anonimato, non è stata smentita dal Pentagono né dalla Casa Bianca,  che  peraltro non hanno rilasciato commenti.
I militari  americani, che avrebbero incominciato concretamente il loro lavoro all’inizio di quest’anno,  tornano dunque in Somalia a oltre vent’anni dall’operazione Restore Hope, a guida appunto di Washington, che si svolse fra il 3 dicembre 1992 e il  4 maggio 1993, nell’ambito della missione Unified Task Force (Unitaf) dislocata per  mandato del Consiglio di sicurezza dell’Onu. L’operazione statunitense e la stessa missione Unitaf si conclusero, dopo  l’abbattimento di due elicotteri e l’uccisione di  18 soldati di Washington,  con il ritiro dalla Somalia delle truppe degli Stati Uniti e degli altri Paesi che vi partecipavano, in particolare Italia, Belgio e Nigeria.
Secondo «The Washington Post»,   i consiglieri militari statunitensi sono incaricati di contribuire alla lotta contro le milizie radicali islamiche somale di al Shabaab, che il Governo di Washington considera nel novero delle organizzazioni terroristiche.
Come detto, finora non si era avuta notizia di un ritorno di soldati americani in Somalia,  ma più volte,  negli ultimi anni e ancora di recente, aerei  statunitensi dislocati in basi del Corno d’Africa, in particolare a Gibuti, avevano effettuato raid contro al Shabaab.
Pur in assenza di ammissioni ufficiali, inoltre, è dato per certo dagli osservatori che militari delle forze speciali statunitensi abbiano condotto  diverse volte in territorio somalo, in segreto e con una  permanenza  di poche ore, operazioni  considerate di antiterrorismo, ma anche volte alla liberazione di ostaggi.
In ogni caso, nella notizia data dal  quotidiano statunitense c’è un’implicita conferma di un rinnovato  coinvolgimento dell’Amministrazione di Washington nella vicenda somala, dopo che per molti anni, gli Stati Uniti si erano esclusi dal novero dei protagonisti internazionali in quello scenario. Un’esclusione dovuta, appunto, al fallimento dell’operazione Restore Hope, che  fu largamente osteggiata dalle varie fazioni somale. Per tutta la durata dell’operazione, agli attacchi diretti si sommarono diffuse proteste delle masse popolari contro militari di Paesi considerati, a torto o a ragione, sostenitori dell’ex  dittatore Mohammed Siad Barre, destituito nel 1991,  esiliato l’anno successivo, dopo un tentativo di riprendere il potere, e riparato in Nigeria, dove sarebbe morto nel 1995.
A questo si aggiunse, purtroppo, che  soldati dislocati in Somalia  sotto la bandiera dell’Onu si resero protagonisti di gravi violenze contro i civili.